Le mie interviste

La mia intervista ad Armando Donato

Ho deciso di presentarvi attraverso una breve intervista Armando Donato.

Armando oggi lavora oltre confine ma sicuramente avrebbe molto da dare alle nostre latitudini.

Io ho avuto la fortuna di conoscerlo grazie ad un altro grande professionista, Davide Rizzo, anche lui al momento volato via per motivi di lavoro ma con cuore e testa ben ancorati in riva allo Stretto.

Armando parlaci un po’ di te, i tuoi studi, la tua storia, i tuoi attuali impegni.

Sono nato a Messina. Dopo la maturità classica e il servizio di leva nell’Esercito, mi sono laureato in Economia del Turismo (indirizzo beni culturali, ambiente e trasporti), seguendo poi un corso a Firenze sul Management del turismo culturale.

Per quasi un decennio ho insegnato materie economico/giuridiche applicate al settore turistico culturale presso enti, scuole, accademie di formazione e per progetti di sviluppo turistico. Inoltre per motivi di ricerca ho vissuto a Roma, Venezia e Parigi trasferendomi poi definitivamente a Londra.

Qui lavoro nel settore turistico occupandomi di customer service e collaborando con realtà quali per esempio il National Geographic Channel (documentario Nazi Megastructures).

Nel contempo frequento un corso riguardante gli studi museali presso la Leicester University e da oltre un anno presto servizio come volontario nel Supporting Staff degli Imperial War Museums, London Branch.

La mia prima pubblicazione risale al 2005. Successivamente ho inziato a stringere rapporti di collaborazione per riviste specializzate italiane ed estere operanti nel settore della storia militare (fortificazioni, armi, uniformi ecc).

In particolare l’Accademia di San Marciano (Bollettino Armi Antiche) di Torino, la Società di Italiana di Storia MIlitare di Roma, gli Uffici Storici della Marina e dell’ Esercito, la British Archaeological Reports  di Oxford, il  magazine After The Battle nell’Essex, la  Osprey Publishing di Oxford.

Ci racconti da dove nasce la tua incredibile passione verso i forti dello Stretto e cosa rappresentano per te, sia dal punto di vista storico ma anche come possibile volano economico per l’intera area?

La mia passione per la storia militare è innata. Crescendo ho sviluppato tale passione indirizzandola nello studio e nella ricerca, aiutato anche dal fatto di aver abitato per molti decenni presso uno dei luoghi più fortificati della Sicilia, ancora oggi ricco di opere ascrivibili agli ultimi 200 anni. Vestigia  luoghi che ho avuto la fortuna di vivere sin dalla metà degli anni Ottanta.

Tra queste non vi sono soltanto tre delle vecchie batterie di fine Ottocento in cui sono cresciuto (Masotto, Serra la Croce e Crispi), ma anche opere più antiche (inizi Ottocento) e più giovani (1930-1943) che circa 20 anni fa ho provveduto a catalogare e documentare nel suo insieme pubblicandole nei miei scritti.

Cosa secondo te ha impedito il corretto utilizzo di questi beni?

I nostri beni storico militari rappresentano una fondamentale occasione e opportunità purtroppo mai sfruttata, a  fronte della grande quantità e dell’ottimo stato di conservazione.

Il mancato sfruttamento economico consapevole e sostenibile dei suddetti beni  ha origine da un problema a monte, da imputarsi in massima parte alla classe politica locale ovvero gli amministratori; assolutamente impreparati quando non indifferenti.

Non è infatti difficile rilevare che dalle nostre parti, il settore turistico culturale sia inteso quale mero passatempo o realtà secondaria alla portata di tutti, quando invece è un ambito importantissimo direi fondamentale in cui <devono > operare professionisti qualificati e capaci, così come avviene in tutti gli altri settori.

Tale tendenza è ben evidenziata dallo scarso interesse verso la cultura, che si appalesa  con nomine in assessorati o altri incarichi strategici di responsabilità a coloro che molto spesso non hanno titoli, competenze ed esperienze lavorative. Ciò non solo comporta uno scontato abbassamento della qualità dell’offerta culturale e turistica (ammettendo che esista), ma anche la scorretta sottrazione di spazi e opportunità a quelle figure competenti, formatesi proprio per lavorare in tali settori.

Qual è, dal tuo punto di vista, la corretta rotta da seguire per dare un futuro credibile a queste preziose testimonianze e alle comunità che gravitano intorno a esse?

Nel 2021 in un mondo globalizzato e caratterizzato da una fortissima concorrenza, come potrebbe ad esempio un assessore al turismo o alla cultura di un dato Comune della nostra area, non conoscere almeno l’inglese, non avere titoli e “skills” adeguati, non sapere cosa sia l’overbooking, il prodotto turistico o il valore d’uso di un bene culturale? Come potrebbe risolvere i problemi esistenti, promuovere magari all’estero il territorio e porre in essere le necessarie condizioni al fine di creare sviluppo, ricchezza e reddito nel medio lungo periodo? La risposta è semplice; in nessun modo, infatti i risultati sono tristemente evidenti in tal senso.

In conclusione, sorvolando sullo sperpero di  risorse  pubbliche che spesso contraddistinguono certe pseudo attività  e servizi culturali propinati alla comunità, in base alla mia esperienza ritengo che sia  inutile relazionarsi e interfacciarsi con realtà locali come quelle sopracitate, aventi obiettivi ben lontani da quelli miei o di chiunque altro operi in questo ambito in maniera seria, onesta e libera. 

Sicuramente la ricerca scientifica con relative attività svolte in autonomia (pubblicazioni, conferenze, progetti, documentari, attività di incoming), sono al momento l’unica risposta o alternativa all’attuale nulla che purtroppo contraddistingue il nostro territorio da questo punto di vista e non solo.

Le mie interviste

Ettù Parànu – Dove suonano ancora le vallate

Era il 2019 quando Davide Carbone e Freedom Pentimalli lanciavano il loro primo lavoro comune dal titolo “Kalavria la terra dei greci di Calabria”.

Un racconto della nostra terra con una prospettiva diversa rispetto a quelle ormai ingiallite alle quali abbiamo fatto l’abitudine.

La linea, ad un anno di distanza, viene confermata nella seconda opera dal titolo “Ettù parànu – Dove suonano ancora le vallate”.

La loro è una visione di giovani che provano a raccontare la propria terra, coinvolgendo certamente i depositari delle antiche orme, ma con una narrazione che non si ferma a questo. Nel loro esplorare, la videocamera, racconta fatti che con naturalezza si coniugano al futuro.

Ma conosciamo meglio i due ideatori di questi lavori che ci hanno condotto in questi due anni a riscoprire un elemento, quello antropico, che nella narrazione della Bovesia non può che avere un ruolo preminente.

Due storie diverse le vostre ma un forte sentimento di appartenenza a questa terra che vivete a distanze variabili.

Davide: L’amore per la Calabria mi è stato trasmesso dai miei genitori in primis, ma anche dai parenti e dagli amici con cui, nonostante la grande distanza, in un’epoca in cui ancora non esistevano smartphone e social ho creato legami molto forti, tra cui Freedom. Insieme abbiamo voluto unire la nostra passione per la Calabria, la mia per il cinema e la sua per la scrittura, provando a creare qualcosa di buono e utile per la nostra terra. Dico nostra terra perché, anche se nato e cresciuto a Monza, sono e mi sento più calabrese di molti calabresi che in Calabria ci vivono.

Quando ogni estate scendo nel mio paesino, purtroppo mi ritrovo a constatare come un pezzo di esso sia svanito, magari nel volto o nei ricordi di un anziano che non c’è più o in case abbattute o in sprazzi di verde divenuti cenere. La Calabria che conoscevo stava svanendo, come gran parte di quella Calabria del passato per cui nutro molta nostalgia. Quindi, avendo oggi un pezzo di Calabria che sta sparendo come la cultura greco calabra, abbiamo voluto documentarne una parte.

Freedom: Si possono mettere radici ovunque, dipende dalla propria capacità di adattarsi e leggere un luogo. Se si ha però fortuna di conoscere il luogo dove generazioni e generazioni dei propri antenati hanno portato avanti la propria esistenza lasciando tracce tutt’oggi visibili, quel luogo diventa particolarmente fertile per coltivare le radici della memoria e degli affetti. Al punto da non sapere se è quel luogo ad appartenerti o se sei tu ad appartenere a lui.

Nel dubbio mi spendo per riscattarlo e, grazie alle competenze e all’arte di Davide, questo tentativo di valorizzazione può raggiungere l’attenzione di molte persone.

Qual è stato il percorso che vi ha spinti a realizzare questo secondo lavoro nel quale ancora una volta emerge un racconto attraverso gli occhi dei giovani della Bovesia?

Risposta congiunta: Nel nostro primo documentario Kalavrìa – La terra dei greci di Calabria abbiamo volutamente escluso il tema musicale in quanto pensavamo che fosse un argomento talmente ampio ed importante da meritare un lavoro a parte.

Dopo oltre un anno passato a portare in giro per l’Italia e all’estero Kalavrìa, con l’opportunità di attingere a fondi regionali, abbiamo accelerato l’ideazione e la produzione di Ettù Parànu – Dove suonano ancora le vallate lavoro non poco travagliato, ma ricco di soddisfazioni.

Quali i progetti, comuni ed individuali, coniugati al futuro?

D: Per quanto mi riguarda, essendo sempre presente l’amore per la Calabria e per il cinema, voglio continuare a mostrare alle persone l’enorme ricchezza della Calabria, dai volti della gente alle loro storie e ai loro ricordi, dai paesaggi da cartolina ai passaggi più segreti, valorizzando il patrimonio storico e culturale.

Abbiamo diverse idee per la mente che vogliamo realizzare, uscendo anche dal filone della cultura grecanica. Non nascondo che la mia ambizione è riuscire a dirigere dei film: è il mio vero sogno nel cassetto. Sono convinto che questi progetti possano essere comuni ad entrambi, vista anche la mia idea di cinema, ossia, girare film in Calabria che per tema principale non abbiano quello della ‘ndrangheta e della criminalità.

F:Prendermi cura di quelle radici greche fino a farle diventare un ponte con la Grecia contemporanea: l’attivismo nel campo della rivitalizzazione linguistica sarà un capitolo centrale dei prossimi anni. Ad esso si uniscono diversi progetti, sia quelli con Davide che riguardano la scrittura e il cinema, magari un romanzo (prima o poi), sia la promozione di attività nel cosiddetto “turismo lento”, un’altra via per valorizzare le bellezze che questa terra di Calabria offre.

Le mie interviste

Roberto Rugiano ci parla dei “Falconieri dei setteventi”

Nel racconto catastrofistico della nostra terra, come spesso ci diciamo, emerge con ricorrenza costante il rumore dell’albero che cade e mai quello della foresta che cresce.

Vi voglio raccontare l’esperienza di Roberto Rugiano a Civita nel cosentino, la sua passione, il suo progetto e la sua voglia di “restanza”.

Un’ultima precisazione, l’intervista è stata fatta prima che iniziasse questa situazione surreale legata al coronavirus, per questo, mi piace ripartire da qui, con chi ci crede e lotta da anni.

Parlaci di te, chi è Roberto Rugiano?

Fino a qualche anno fa avevo una piccola azienda di servizi che si occupava di manutenzione del verde sia pubblico che privato.

Eravamo presenti anche nel settore dell’agricoltura biologica, ma con la crisi degli ultimi anni abbiamo dovuto prendere la decisione di chiudere l’attività.

A quel punto quella che era una passione, i rapaci, è diventata un lavoro che ha fatto vincere una scommessa.

Se dovessi definirmi mi definirei come un pazzo/folle.

Raccontaci dei Falconieri dei Setteventi, come nasce la tua attività?

Falconieri dei Setteventi è un progetto nato quasi 3 anni fa che corona una passione, la gestione di alcune specie, che si è consolidata negli ultimi 2 decenni.

Tutto nasce dal soccorso ad un rapace, probabilmente colpito da un bracconiere, al quale ho prestato le prime cure che hanno fatto nascere quella passione che ancora mi porto dentro.

Non mi definisco un falconiere tradizionale, non mi occupo di caccia o di spettacoli ma è una passione sfegatata verso questi animali. Quello che cerchiamo di fare è puntare fortemente sulla divulgazione della biologia di questi meravigliosi esemplari.

L’associazione Culturale Setteventi oggi offre un’esperienza unica, l’interazione con questi rapaci.

Qui la differenza con la falconeria tradizionale. Mentre quest’ultima non offre questa possibilità, la nostra finalità è quella di realizzare una sorta di avvicinamento con interazione tra i nostri ospiti ed i rapaci.

Una sorta di percorso didattico e interattivo legato al mondo di questi meravigliosi animali, che permetta ai più piccoli di scoprire un mondo ed ai più grandi di evocare i ricordi o le tante leggende legate a questo settore.

Cosa vuol dire per te restare in Calabria?

Vuol dire vincere una scommessa. Tanta gente viene a trovarci, curiosa di conoscere una specie, e quando va via rimane soddisfatta per aver conosciuto un mondo.

Non voglio fare come hanno fatto altri. E’ facile prendere la valigia ed andarsene per trovare di meglio. La scommessa è quella di farcela qui per valorizzare quello che abbiamo al fine di non andare via.

Con questo piccolo progetto io forse ci sono riuscito.

Le mie interviste

La mia intervista con il sindaco Repaci su Forte Batteria Siacci

A Campo Calabro ho avuto il piacere di incontare il sindaco Alessandro Repaci e scambiare con lui qualche battuta su Forte Batteria Siacci, sul sitema dei forti umbertini di Campo e sulla prospettiva di sviluppo di questi importantissimi beni culturali.

Ho deciso di riportarvi integralmente le risposte perchè ritengo che da queste righe emerga la visione complessiva su Siacci, condita da numeri, che si offre alla vostra valutazione.

Sindaco il giorno dell’apertura di forte Siacci si è definito più fortunato dei suoi predecessori, perchè?

Fortunato perché ritengo che in tutte le vicende, anche amministrative, vada colta una “congiunzione astrale”. Le amministrazioni che mi hanno preceduto si sono occupate, con alterne vicende e con alterne fortune, del recupero e della valorizzazione dei forti.

Da sempre questo sistema fortificato ha esercitato un’attrattiva ed è stata un’aspirazione per gli amministratori da quando i forti sono stati dismessi. Ma non sempre le amministrazioni sono state fortunate. Non sempre i provvedimenti amministrativi, le disponibilità degli enti che ce li avevano in custodia o che avevano responsabilità vincolistiche sono state favorevoli.

Noi abbiamo un sistema di fortezze che è costituito da tre forti. Diciamo che gli amministratori negli ultimi trentanni, da quando i forti sono stati dismessi, hanno sempre coltivato l’aspirazione di utilizzarli come volano di sviluppo anche quando, al tempo non erano ancora, a differenza di oggi, tutelati come beni culturali.

Solo il Comune di Campo Calabro li ha sempre pensati come sistema unitario, ma a questa concezione generale dell’amministrazione comunale, ma anche della gente, non corrispondeva un’analoga considerazione da parte dello Stato. Erano semplicemente pezzi di muri, noiosi e fastidiosi che bisognava manutenere e quindi rappresentavano un peso.

Quindi c’era il Comune, che li considerava una risorsa seppur in un progetto abbastanza vago di valorizzazione, dall’altra lo Stato che li considerava pezzi di muri fastidiosi. Queste due visioni profondamente diverse non si sono mai incontrate. Quindi è stato il Comune con l’operazione di Poggio Pignatelli nel 2014, che ha per primo detto: vogliamo questo bene a titolo gratuito e ci impegniamo a valorizzarlo. Quindi è stata, come in una campagna militare, che noi abbiamo,e stiamo, espugnando i forti uno ad uno.

Abbiamo espugnato Pignatelli sul quale sono stati spesi circa 800000 euro per una sufficiente rifunzionalizzazione degli ambienti. Stiamo cercando di capire come possiamo spingere fino in fondo, l’ulteriore impegno, che è quello della realizzazione della strada d’ingresso.

Quest’ultima ha avuto delle vicende tormentate ma siamo in grado di dire che entro la fine dell’anno a Poggio Pignatelli saranno spesi altri 700000 euro, come previsti dai Patti per il Sud e questo per completerà l’opera di rifunzionalizzazione su Pignatelli.

Poi abbiamo espugnato Siacci con un blitzkrieg, un’operazione velocissima.

In 26 mesi questo posto, che era inaccessibile, coperto dai rovi ad oggi (28 settembre) dal 18 di giugno ha registrato 1100 visitatori. Abbiamo realizzato dei percorsi che possono essere visitati in condizione di sicurezza. Abbiamo alcuni dipendenti comunali ed un gruppo di volontari che stanno lavorando per tenere aperto il forte. Abbiamo una mostra che verrà soprattutto utilizzata per le scuole, ed abbiamo avviato una campagna di comunicazione.

In ultimo, sull’ex deposito munizione Matiniti Inferiore, in ragione di quella visione statale di vedere quest’ immobili senza un’idea unitaria neppure catastalmente. Loro non capivano (lo Stato centrale ndr), che questi fogli erano realizzati secondo un disegno strategico steso nel 1800 e ciascuno li considerava dei pezzi.

Matiniti Inferiore fu imprudentemente cartolarizzato dal governo Berlusconi ed è finito nelle fauci di una immobiliare, sia pur partecipata dallo Stato, che si chiama Cassa depositi e prestiti immobiliare. La quale, ha avuto il coraggio civile di metterlo in vendita. Fino a quando il comune, con una lettera, non ha fatto scattare il vincolo sul bene ed ha rappresentato in maniera garbata ma ferma che questo bene appartiene all’eredità storica, culturale ed identitaria del Comune di Campo Calabro e che noi non ce lo lasceremo sfuggire e su di esso abbiamo messo un’ipoteca culturale e storica che faremo valere in ogni momento e a qualsiasi costo.

Ad oggi cosa dobbiamo intendere con il termine valorizzazione per il forte? Anche in termini comunicativi, visto che spesso si avvian campagne di comunicazione che partono e nel breve termine si interrompono facendo percepire ai potenziali fruitori che le attività di gestione si sono interrotte. Ad oggi qual è la vostra idea di valorizzazione per i forti?

Oggi non parliamo più di idee ma di atto amministrativo. Affinché Mibac desse parere positivo all’acquisto del bene, ci siamo dovuti impegnare formalmente in un programma di valorizzazione. Un programma molto corposo, che è stato approvato dal consiglio comunale e comprende una serie di

azioni in un cronoprogramma preciso. Questo programma è l’appendice all’accordo di valorizzazione che noi abbiamo sottoscritto. Lo Stato non da questi beni a scatola chiusa, ma si accerta che l’ente che li vuole acquisire sia in condizioni, strutturali e finanziarie, adatte a reggere questa sfida. Per questo richiede una serie di garanzie che sono rappresentate per tabulas in questo documento.

Il programma di valorizzazione di Forte Siacci parte dalla sua importanza all’interno delle fortificazioni umbertine, dal suo punto geografico che offre panorami mozzafiato e dalle sue caratteristiche costruttive che sono già meritevoli di una visita. Se si accede al forte e si seguono i due percorsi, ce ne sarebbero altri otto in teoria, si impegnano quaranta minuti.

Stiamo parlando non più di un turista ma di un viaggiatore. Di una persona che entra non solo in un luogo, ma nella sua dimensione storica e culturale. Noi vorremmo che si potessero sviluppare all’interno del forte almeno tre attività. Gli ambienti verranno rifunzionalizzati e dedicati in parte ad un polo museale permanente, per il quale siamo già in contatto con collezionisti non solo calabresi. Puntiamo alla realizzazione di un’esposizione museale a carattere militare di cui una sezione, piccola, sia dedicata a forte batteria Siacci.

In una seconda parte, una serie di ambienti collegati, dedicata alla presentazione di eventi.

Una terza parte invece sarà rifunzionalizzata nel rispetto della sua funzione originaria. Tutte le stanze degli ufficiali verranno trasformate in un ostello.

Quindi si utilizzerà questo layout dell’ospitalità sostenibile e giovanile europea per consentire la permanenza all’interno della struttura.

Poi abbiamo una serie di idee che riguardano gli ampi spazi esterni, che hanno la caratteristica di essere sgombri da ogni manufatto, grazie ai vincoli militari.

La creazione di una struttura che accoglie i visitatori, ne fa soggiornare una parte, rappresenta l’idea culturale di un percorso della memoria attraverso le esposizioni museali, mette a disposizione della cultura e dell’imprenditoria degli spazi di prestigio per eventi. Tenga conto che sarà possibile celebrare matrimoni civili perché una parte del forte verrà dichiarato ufficio dello stato civile. Questo fa scoccare la scintilla della creazione di una microeconomia inevitabile.

Nello stesso tempo fa entrare questo bene in un circuito che ha la necessità di servizi aggiuntivi, bar, area di merchandising,biglietteria.

Un grande bene culturale, che è gestito secondo criteri moderni ,nel rispetto della sua vocazione storica, e soprattutto gestito all’interno di un disegno che vuole portare all’interno del tessuto economico del territorio ricchezze, mettendo in competizione Siacci con le grandi strutture militari e difensive europee.

Ovviamente da soli non riusciamo a fare niente, abbiamo bisogno che la Città Metropolitana, smetta di considerare la provinciale Campo Calabro / Matiniti come via accessoria e la consideri come via principale di accesso al sistema delle fortezze. Abbiamo bisogno che il comune di Campo, nella parte amministrativa, della quale io ho la responsabilità, presti maggiore attenzione a quella frazione.

L’ acquisizione a titolo non oneroso di questo bene scatena una serie di azioni positive. La verità è che queste azioni vanno governate dal punto di vista della successione cronologica e dal punto di vista dell’estrema attenzione dei soggetti con i quali ci mettiamo in relazione per questa cosa.

Aggiungo che non è irrilevante all’interno del programma di valorizzazione il modello di gestione. Lo abbiamo presentato alla luce di quelle che sono state le precedenti esperienze non solo in Calabria ma anche a Campo Calabro.

Non siamo soddisfatti del modello di gestione che è stato indicato nel programma di valorizzazione e poi realizzato a Poggio Pignatelli.

Beni di questo genere e di queste dimensioni non possono essere dati in concessione a privati. La gestione di un bene così importante ha dei costi che difficilmente un’associazione, o comunque un privato, può sostenere. Se si fulmina una lampadina o un faro il comune in 24 ore la ripara, Il privato, l’associazione sia pure generosa, prima deve trovare i soldi. Noi partiamo dal concetto che ci accontentiamo di andare in pari su questi beni e di non perderci. Non ci vogliamo guadagnare. Chi ci vuole guadagnare, la prima cosa che fa è tagliare sulla manutenzione, ma tagliare sulla manutenzione della pulizia del fossato significa portare il bene al degrado nello spazio di qualche anno. Il comune non da in concessione l’immobile, può eventualmente affidare in gestione a partner affidabili i servizi aggiuntivi. Il governo della struttura e dei suoi programmi rimangono in capo all’ente.

Si potrebbe obiettare che però il privato può essere molto più celere, rispetto ai tempi di un’amministrazione, in determinati interventi.

Io sfido i sostenitori del modello privatistico di gestione ad indicarmi un solo modello di successo che riguarda un bene culturale gestito da privati. Io non ne ho visti in Calabria ed in Italia Meridionale.

Qual è il profitto che una comunità come la nostra potrebbe avere dalla concessione a privati di una struttura simile?

Che cosa è entrato, senza voler fare polemiche con chi che sia, dentro il circuito dell’economia campese dalla gestione di Poggio Pignatelli dal 2014 al 2019. Sfido chiunque a trovare un solo euro che sia entrato nel bilancio del Comune, un solo euro nelle casse dei negozianti di Campo Calabro, un solo euro che sia andato ai giovani di Campo. Parlo di euro guadagnati legittimamente, certificati e tracciati, non dei venti euro passati in nero a Tizio o a Caio perché pulisca un pezzo di terreno contiguo.

La prova è l’avviso per la selezione di un’associazione senza scopo di lucro per le attività di accoglienza fatta dal Mibac per la gestione della fortezza Le Castella di Isola Capo Rizzuto.

Il modello di gestione Mibac, con una serie di linee guida, dice chiaramente che la gestione del bene rimane al Comune che lo governa. Possono essere affidati a gruppi o anche a privati i servizi aggiuntivi. Non la strategia complessiva sul bene. Io non posso spendere come Comune, due milioni di euro, completare l’iter dei lavori e poi consegnarlo chiavi in mano ad un privato. Il quale alla prima difficoltà economica, non paga le bollette, ed io devo pagare gli avvocati per cacciarlo perché ha violato il contratto.

La gestione privatistica è fallita. Questo onere tocca al Comune. Ma a quest’ultimo non tocca l’onere di vendere i biglietti. Il Comune deve governare complessivamente, deve avere l’idea di cosa succede. Scegliere fra un amico di un amministratore che vende olio a Cardeto e al quale viene concessa con una carta improbabile una stanza per vendere olio e la presentazione dell’ultimo modello del Fiat. Il Comune deve essere in grado di dire: preferisco questo rispetto a quello.

Il Comune non è un ente che fa lavori pubblici, è un ente che governa il territorio e deve governare sui beni storici.

Chiaro è che l’esperienza ci dice che il sistema migliore di gestione per beni del genere sia quello di collaborazione tra amministrazione illuminata e privato all’altezza. I modelli per funzionare necessitano di persone capaci che li rendano funzionati.

Ma quali sono le prospettive di integrazione con le altre fortezze, sia quelle calabresi che quelle siciliane?

Anche qua credo che molto, non tutto, sia legato al modello di gestione. Faccio un esempio. L’Agenzia del Demanio, non ha mai concesso a titolo non oneroso un bene nella parte siciliana ai Comuni. Il Demanio se li tiene stretti e li affitta a canoni agevolati e già questa è una strategia diversa dalla nostra. Se questo comune parla di Forte Siacci e di Pignatelli parla di beni che sono i suoi e può decidere in relazione a quello che la legge gli permette. Lo stesso non si può dire per forte Masotto (sponda sicula ndr). Noi siamo in contatto con Enzo Caruso, assessore al Comune di Messina. C’è una vecchia idea di metterli in rete. Il problema è che anche qua manca una visione unitaria e sovraregionale. Un ottimo strumento considero la Conferenza permanente interregionale per il coordinamento delle politiche dell’Area dello Stretto. Un organismo sovraregionale che governi in termini culturali questa operazione. Che si faccia carico della messa in rete dei forti e nello stesso tempo dello sviluppo e dell’incentivazione di un circuito turistico che porti il messinese a vedere forte Masotto e poi a passare in Calabri. Avere un pullman che lo aspetti e lo porti a vedere il gemello dall’altra parte. Con a Forte Masotto il museo delle tecnologie militari mentre a forte Pignatelli il museo delle telecomunicazioni e ad Arghillà il museo delle uniformi. Manca questa strategia unitaria perché manca un organismo che la governi.

Che cosa significherebbe una campagna di comunicazione di alcune centinaia di migliaia di euro, fatta sulle fortificazioni dell’area dello Stretto piuttosto che i 20000 euro che il Comune ha impegnato su Siacci. Quali vantaggi porterebbe una sinergia? Rispetto a questo c’è un’esperienza interessante che è quella della Carta di Corfù che noi abbiamo sottoscritto come Comune di Campo Calabro. E’ una rete che faticosamente si sta cercando di mettere in piedi tra tutte le città del Mediterraneo che hanno un patrimonio fortificato. Il segreto è quello del coordinamento della strategia.

In conclusione, dal suo osservatorio, quali devono essere le prossime tappe che amministrazione e comunità devono realizzare per far divenire questo patrimonio reale volano economico?

Quando mi è stato chiesto di scrivere qualche rigo per la pagina di apertura, ho scritto che il sito non era solo dedicato al forte, al suo fascino ed alla sua bellezza, ma che ha anche tra i suoi principali compiti di raccontare quella che noi consideriamo una straordinaria impresa economica, amministrativa ed umana, non del Comune ma dell’intera comunità di Campo Calabro.

Perché per una piccola comunità come la nostra entrare in possesso di beni di tali dimensioni è una grande responsabilità e comporta l’utilizzo di competenze, di risorse umane ed economiche nelle quali è coinvolta l’intera comunità. Ecco dov’è fallita la strategia su Pignatelli. Benché generosamente sostenuto dall’azione di alcuni dei concessionari non è mai riuscito ad essere assorbito all’interno dell’identità culturale e non è mai stato considerato una risorsa identitaria dal Comune di Campo Calabro. La prima cosa che noi abbiamo fatto su Siacci è stata quella di consentire alla popolazione, partendo dagli abitanti della frazione limitrofa, di riappropriarsi di un bene che per anni gli era stato sottratto.

La più grande operazione, che io ritengo questa amministrazione abbia promosso in questa temperie, è quella di stringere una alleanza forte con la comunità circostante e di dire questo bene è il vostro, il portone lo apriamo assieme.

Quando il 18 giugno io ho aperto il portone subito dopo di me e prima delle altre autorità, sono entrati gli abitanti della frazione Matiniti che avevano ricevuto una lettera personale del sindaco che li invitava ad entrare per la prima volta in un pezzo della loro storia.

Se tu non senti il bene come tuo, appartenente alla tua identità culturale è come se lo avessero paracadutato e caduto la per caso. Pensi, il punto ristoro all’interno del forte è gestito da una associazione senza scopo di lucro che è composta per la maggior parte da abitanti della frazione Matiniti. I campi circostanti nell’ottica della condivisione dei beni comuni saranno gestiti sotto la forma amministrativa degli orti urbani dagli abitanti della frazione Matiniti. Sarà un’operazione che permetterà di tenere tutta la comunità dentro questo grande disegno. Un disegno che ha delle tappe amministrative.

Tra qualche settimana, noi sottoscriveremo la convenzione per l’utilizzo del primo milione di euro che ci è stato concesso da Regione Calabria. Con questa cifra ci ripromettiamo di fare una progettazione generale di tutti gli interventi da farsi a forte Siacci, Questo comporterà l’impegno di una cifra abbastanza importante.

Con il resto della cifra, mi dicono i tecnici, circa 600000 euro, riusciremo a rifunzionalizzare il livello zero, a mettere in sicurezza alcuni percorsi ed a rendere fruibili per eventi una serie di ambienti, l’allestimento del polo mostre e del polo museale e a predisporre per la sua definitiva destinazione alberghiera l’ala est del piano zero.

Per gli altri due piani, l’interrato e quello superiore, vanno previsti altri interventi che avranno almeno necessità di un altro milione e seicentomila euro. In questo tempo abbiamo fatto la scelta coraggiosa di tenerlo aperto. Abbiamo accettato una sfida. Queste operazioni possono essere viste sotto due prospettive. Quella dell’ordinario lavoro pubblico: firmi la convenzione, aspetti, fai i lavori, li consegni e fai tutto ciò che si può fare a lavori consegnati. L’altra prospettiva è chiamare tutta la comunità a reggere l’impegno di far entrare questo bene dentro la propria identità culturale e per questo il bene deve essere aperto, visibile e fruibile.

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A Gerace per “Arte e Fede” con Giuseppe Mantella

Ad agosto ho ovuto il piacere di fare una chiacchierata con Giuseppe Mantella, vera anima del progetto “Arte e fede nella diocesi di Locri-Gerace”. Quest’idea che di anno in anno ha confermato standard elevatissimi è giunta alla sua quarta edizione ed è finanziata con il bando regionale PAC 2014-2020 AZ. 2 mostre d’arte.

“Arte e Fede”, come già detto, è ideato da Giuseppe Mantella e coordinato da Don Fabrizio Cotardo e Don Angelo Festa. Il progetto è promosso da Monsignor Francesco Oliva, Vescovo della diocesi locridea.
Tantissimi gli enti coinvolti come la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Cosenza, Catanzaro e Crotone e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia.

Con Giuseppe Mantella abbiamo fatto il punto della situazione alzando un po’ lo sguardo sulle prospettive future.

Così Mantella: “L’idea è quella di non far chiudere il cantiere, nel senso che Arte e Fede non deve fermarsi il dodici di agosto ma continuare fino a conclusione dei lavori. Gli anni scorsi il cantiere finiva e poi eravamo noi restauratori a completare i lavori. Quest’anno vogliamo che siano coloro i quali hanno lavorato durante l’estate, continuando gli accordi quadro con le diverse Università, a tornare ospiti del nostro Vescovo e con noi concludere queste operazioni. Quest’anno abbiamo preso in considerazione Fra Diego da Careri con la Madonna degli Angeli di Badolato. Vogliamo farlo conoscere attraverso questa macchina barocca e tra gennaio e febbraio organizzare una prima giornata di studi su Fra Diego da Careri ed esporre questa straordinaria opera. Fare in modo che il progetto possa continuare vuol dire anche che nel giro di due anni possa venire fuori una monografia di tutte le opere che lui ha realizzato in tutta Italia (…). E’ da tenere in considerazione una cosa importante, è un’opera che non è della Diocesi di Locri e Gerace, ma nello spirito di condivisione di quella che è la nostra terra ed i nostri artisti, non bisogna essere territoriali ma inclusivi.

Questo deve essere lo spirito; non siamo Diocesi di Locri Gerace, di Reggio Calabria o di Catanzaro ma siamo la Calabria che fa in modo che i figli della propria terra possano venire fuori. E’ questo lo spirito del progetto. Bisogna fare in modo che il prossimo anno possano nascere accanto ad Arte e Fede altre iniziative importanti dal punto di vista scientifico. Aprire la Cittadella di Gerace è l’obiettivo di Sua Eccellenza, fare in modo che possa diventare una sorta di centro culturale in cui si possa realizzare veramente questo sogno, fare in modo che la Calabria possa produrre cultura in un luogo storico come Gerace. La volontà c’è, i protagonisti ci sono, tutto quello che si sta facendo lo si fa come volontari a titolo gratuito ma in maniera estremamente professionale. Le risposte che abbiamo avuto dalle università
e dalle istituzioni sono straordinarie, abbiamo visto che c’è sete e fame di tutto questo e quindi non possiamo che continuare. Dopo la mostra su Fra Diego da Careri abbiamo previsto per l’inverno tutta una serie di attività didattiche per le scuole all’interno del museo e contemporaneamente fare in modo, attraverso le associazioni come il FAI o Legambiente, che questo luogo possa essere punto d’incontro per conferenze o qualsiasi altra iniziativa possa essere realizzata. Quindi non solo Arte e Fede ma a 360 gradi, non lavorare in maniera esclusiva ma fare in modo che tutti possano considerare questo luogo aperto per quelle che possono essere future iniziative. Arte e fede il prossimo anno continuerà con un nuovo progetto. Speriamo di riuscire ad avere i fondi dalla Regione Calabria, come lo scorso anno quando ci ha sostenuto per la mostra sui Santi Taumaturghi. Quest’anno vogliamo realizzare una mostra sul barocco in Calabria e quindi con i partner nazionali che abbiamo dobbiamo fare qualcosa di importante.”

Le mie interviste

Ad Archeoderi con Marilena Avenoso tra criticità e prospettive

Criticità e prospettive del Parco Archeoderi di Bova Marina sono stati i temi della conversazione con Marilena Avenoso, giovane operatrice culturale, specializzata in organizzazione e gestione del patrimonio culturale ed ambientale.

Marilena riesci a spiegarci cosa significa per te il Parco Archeologico Archeoderi?

Per me Archeoderi significa “Rinascita”. Quando nell’ormai lontano 2015 mi accingevo a scrivere la mia tesi di laurea magistrale, ho puntato e scommesso il tutto e per tutto sul Parco Archeologico, il cui potenziale, a mio avviso, è veramente immenso. Purtroppo però, e mi duole dirlo, il suddetto Parco è uno dei tanti “gioielli culturali” dimenticati e abbandonati. Per molto tempo il Parco in questione è stato gestito in maniera inadeguata, tanto che neanche le persone che vivevano nelle sue vicinanze conoscevano le meraviglie storico-artistiche che venivano custodire al suo interno.
Ecco perché per me Archeoderi significa “rinascita”. È solo grazie alla conoscenza di ciò che siamo stati che si potrà divenire portavoce delle nostre tradizioni,origini e culture, diventando noi stessi fautori della conoscenza del nostro patrimonio culturale

Qual è la visione di promozione e rilancio che già avevi inserito nella tua tesi di laurea? la reputi ancora attuale?

La mia visione di promozione e rilancio riguardava la social innovation applicata all’ambito dei beni culturali. In tempi recenti, e gli esempi da fare sarebbero davvero tanti, si assiste sempre più ad una sorta di spinta propulsiva da parte dei cittadini che creano “rete” per “riappropriarsi” del proprio patrimonio culturale e della propria identità storica. Il punto di forza della social innovation, a mio avviso, sta proprio nella creazioni di modelli di “gestione dal basso” che mirano a colmare il gap che risponde alla domanda:”chi si occupa del patrimonio culturale dimenticato e abbandonato?”.
Tale modello si muove infatti su due binari paralleli: da un lato il coinvolgimento attivo dei cittadini con l’esposizione di idee “nuove” per riprendere in mano la larga fetta di patrimonio culturale dimenticato e abbandonato; dall’altro lato cerca di “snellire” l’intervento pubblico, il quale, con le varie pastoie burocratiche, di certo non facilita l’immediatezza d’azione per quanto riguarda la tutela, la valorizzazione e la gestione del patrimonio culturale abbandonato.
Questo modello di gestione dal basso a mio avvivo è il cavallo vincente su cui puntare per riuscire in breve tempo e al minor costo possibile di far rinascere i nostri gioielli culturali dimenticati.

Secondo te qual è il freno di questo parco? Perché non riscuote il successo che merita? Parliamo pur sempre della seconda Sinagoga più antica d’Europa dopo quella di Ostia

Il freno di questo parco a mio avviso è la poca collaborazione tra pubblico e privato. Chi gestisce il Parco deve assolutamente, e con urgenza, provvedere a stilare un efficiente ed efficace piano di marketing territoriale e di promozione, facendo in modo che il Parco diventi la punta di diamante del nostro territorio.
Devo dire però che qualcosa in questo campo si è mossa, dal momento che nell’ottobre del 2017 l’aula della preghiera della sinagoga ebraica del parco archeologico Archeoderi, che come dicevi tu è la più antica in Europa dopo quella di Ostia, e aggiungo l’unica al momento presente nel meridione, ha sentito riecheggiare le preghiere dello shabbat di una cospicua comunità ebraica, con persone provenienti da tutta Italia e non solo.
È vero però che questo è stato un episodio sporadico, ma è anche vero che per ottenere grandi successi bisogna partire da piccoli passi.Come dice la dedica della mia tesi: “se vogliamo che le cose migliorino dobbiamo pensare che possano migliorare. La scelta è tra un mondo di possibilità e un mondo di fallimenti. Come dice la dedica della mia tesi: “se vogliamo che le cose migliorino dobbiamo pensare che possano migliorare. La scelta è tra un mondo di possibilità e un mondo di fallimenti”.

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Un viaggio a Rocca Imperiale attraverso gli occhi di chi la ama

Il nostro è un territorio vivo, palpitante, un territorio che merita di essere conosciuto come le realtà che con impegno portano avanti la missione di valorizzare e promuovere la nostra terra.
Credo sia interessare raccontare i luoghi attraverso gli occhi di chi li vive, specialmente se questi occhi sono giovanissimi. Per questo ho intervistato Annalisa Lacanna, operatrice culturale di Rocca Imperiale, in provincia di Cosenza, una delle eccellenze del nostro territorio Regionale.
Parlaci di te Annalisa, come si sviluppa il tuo impegno a Rocca Imperiale? e cosa vuol dire per te investire in questo territorio?
Annalisa LacannaHo 27 anni e da 2 sono Presidente dell’associazione FidemArtem Aps che si occupa del turismo religioso: Cammino tra Fede e Arte a Rocca Imperiale. La mia associazione attraverso il percorso turistico religioso si occupa di accompagnare i visitatori per le strade del nostro borgo con visita guidata alle nostre chiese del centro. La maggior parte delle Associazioni di Rocca Imperiale è formata da ragazzi, tutti con lo stesso obiettivo, cioè far conoscere il più possibile il nostro territorio la nostra amata Rocca Imperiale mostrando le bellezza che offre.
Perchè un viaggiatore dovrebbe far tappa a Rocca Imperiale?
Perché Rocca Imperiale è ricca di storia, arte e cultura. Partendo dal maestoso castello svevo voluto da Federico II. Per visitare le nostre tante chiese, la più antica delle quali è la chiesa madre che venne costruita nel 1239. Ma non solo storia anche bellezza paesaggistica come per il bellissimo lungomare che offre le sue 3 splendide spiagge con pietre, sabbia e ciottoli. Rocca Imperiale è anche enogastronomia. Abbiamo il nostro amato limone igp famoso e prezioso e molto apprezzato. Infine la cucina locale a dir poco ottima.

Rocca Imperiale di sera
Quali sono secondo te le problematiche che frenano il decollo turistico definitivo di questa regione?
A mio parere ciò che frena il decollo turistico è la mancata pubblicità. Rocca negli anni passati è stata conosciuta poco. Devo dire che secondo i nostri dati abbiamo raggiunto in solo 1 anno la presenza di 10.000 visitatori presso il castello svevo e 3700 per il turismo religioso. Abbiamo riscontrato un miglioramento. Tutto questo grazie alla collaborazione tra noi ragazzi delle varie associazioni, all’impegno amministrativo da parte dell’attuale amministrazione comunale con a capo Giuseppe Ranù e all’assessore al turismo Antonio Favoino. Hanno avuto fiducia in noi ragazzi dandoci in mano i beni più preziosi di Rocca Imperiale. Una vera e grande soddisfazione per tutti noi rocchesi poter vedere un
incremento.

Team
Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi a breve giro di posta?
Il mio obiettivo è sempre lo stesso, continuare a portare avanti la conoscenza di Rocca Imperiale e di lavorare costantemente, ora più che mai visto che adesso siamo entrati a far parte dei “Borghi più belli d’Italia”. Ora più che mai dobbiamo dimostrare quanto amiamo il nostro territorio e farlo conoscere perché
Rocca Imperiale ha tutti i requisiti. Obiettivo che sicuramente realizzeremo. Come dice il proverbio Volere è potere.

Per mettersi in contatto con Annalisa e  i ragazzi di “Cammino tra arte e Fede” si può visitare la loro pagina Facebook o chiamare il numero 380 213 5683.

Le mie interviste

Un viaggio con Valeria Varà “nell’antica città di Sant’Agata di Reggio”

Conosciamo meglio Valeria Varà referente per l’area archeologica di Motta Sant’Agata e vicepresidente della Pro Loco di San Salvatore affinché i luoghi non restino solo un racconto sterile ma rivivano anche attraverso le emozioni di chi in questa terra ci crede ed investe la propria vita.

Chiesa San Nicola a Sant’Agata
Chiesa San Nicola Sant’Agata

Valeria cos’è per te Motta Sant’Agata e quali sono le sue potenzialità?

Valeria Varà
Valeria Varà (ph Pro Loco San Salvatore)

Sin da piccola “Suso” (il nome col quale viene indicata la rupe dove sorgeva la città), mi ha sempre affascinata. Dal 2004, da curiosa studentessa di architettura, ho cominciato a volerne sapere sempre di più e durante le mie ricerche mi sono spesso sentita rispondere “vai a parlare con il professore Orlando Sorgonà di Mosorrofa”. In quegli anni ancora Facebook non era diffuso e l’incontro con il professore Sorgonà, esperto conoscitore delle vicende santagatine, da me immaginato come un anziano erudito con la barba, non avvenne.  Nel 2005 ricevetti la telefonata di alcuni membri della Pro Loco che mi invitavano a partecipare ad un corso sulla conoscenza del territorio e fu in quell’occasione che incontrai il professore Sorgonà (che poi sposai!) e Motta Sant’Agata entrò a fare parte della mia vita quotidiana. Ho scelto di sviluppare la mia tesi di laurea sulle rovine della chiesa di San Nicola. Il mio matrimonio si è celebrato con il rito bizantino, proprio come un tempo si celebrava in quella città. Anni di fuoco, spesi nella pulizia al sito, nell’organizzazione di stage di rilievo con l’Università, nella “Prima campagna di indagini archeologiche”, con il fondamentale supporto del presidente di allora Giulio Carini, di Italia Nostra, dell’allora Soprintendenza ai beni archeologici. Giornate intere ad accompagnare gruppi, scuole e associazioni.

Sant’Agata è un luogo ricchissimo di potenzialità che dista soltanto 30 minuti dal centro cittadino. Per niente urbanizzato è interessante dal punto di vista storico, artistico, naturalistico, geologico, paesaggistico. Tra i ruderi è ancora possibile osservare alcune importanti testimonianze del glorioso passato: i resti dell’imponente chiesa di San Nicola con le suggestive cripte, la chiesa di san Basilio con gli affreschi in stile medievale, le profonde cisterne per la raccolta delle acque meteoriche, i resti del castello, i frantoi, gli opifici e le testimonianze degli antichi palazzi.

Cosa ti spinge ad investire il tuo tempo e la tua vita per questa terra?

Tutto è nato da una forte curiosità e dal desiderio di conoscere la storia di quel territorio. Poi a mano a mano che approfondivo le vicende mi sono sempre di più appassionata. Tra quelle pietre ho ritrovato la mia identità. E’ una forza ed una energia che non riesco a spiegare, viene dall’interno, quando parlo di quel luogo, o accompagno i visitatori, mi sento felice. Ho capito che questa è la strada che desidero continuare a percorrere perché sento di fare parte di una comunità e di stare contribuendo per quanto possibile a costruire qualcosa di buono.

Visite a Motta San'Agata
Visite a Motta Sant’Agata (ph Pro Loco San Salvatore)

Molto è stato fatto ma moltissimo resta ancora da fare. Sono comunque ottimista perché grazie alla passione che ci lega a Motta Sant’Agata abbiamo creato una squadra affiatata, dove regna il rispetto reciproco, l’affetto e la stima più sincera.

Il bando che ha indetto il Comune di Reggio Calabria e che ha ufficializzato la gestione del sito è già stato un ottimo, importante e incoraggiante inizio. Il Sindaco, la sua Giunta con l’assessore Irene Calabrò ed i Funzionari del Comune come l’arch. Daniela Neri si stanno dimostrando molto sensibili e attenti.

Quali sono i progetti futuri già in cantiere per continuare l’opera di valorizzazione?

Assieme a tutta la squadra della Pro Loco, con la guida di Demetrio Iero e con il supporto del Comune, continueremo con l’opera di conoscenza del sito attraverso le visite guidate, che da settembre coinvolgeranno anche tutti gli istituti scolastici presenti sul territorio.

Prossimamente vedranno la luce nuove pubblicazioni ed andremo a realizzare attività collaterali, mirate alla conoscenza del ricco patrimonio botanico presente sulla rupe, nonché dei giacimenti fossiliferi.

Con il supporto degli enti pubblici vorremo migliorare l’aspetto del sito, piantare nuovi alberi, creare delle aree per la sosta, implementare la cartellonistica.

Di fondamentale supporto alla nostra opera di valorizzazione sarà la presenza dei visitatori, che si spera continuino ad essere numerosi. Colgo quindi l’occasione per invitare tutti i lettori a visitare il sito e a sostenere l’associazione nelle future iniziative.

E’ un percorso lungo, per niente facile, ma non ci manca la forza di volontà per cui siamo sicuri che arriveranno presto tante gratificazioni.

Per info e visite guidate contattate i numeri: 347 8337830 e 331 9052973.