Viaggio in Calabria

A “Brancaleone Vetus”

Le origini di Brancaleone si perdono nelle nebbie della storia, affondano le proprie radici in un passato antichissimo, fatto di monaci che dal VI al X d. C. hanno abitato questi luoghi isolati ed inaccessibili facendone luogo di meditazione e di crescita spirituale.

Brancaleone Vetus

Come dare torto a questi antichi monaci? Ancora oggi, su questa rupe a 300 metri sul livello del mare,  da Brancaleone “Vetus”, è possibile godere un panorama che ristora occhi e spirito.

Il primo nome di questo luogo pare derivare dagli alloggi molto spartani di questi monaci che abitavo alcune cavità rupestri nell’attuale sito di Brancaleone denominato appunto Sperlinga, dal greco Spèlugx, ovvero caverna.

Sono documentabili peraltro alcuni depositi alimentari, dei veri e propri silos ipogei necessari per la sopravvivenza dell’antico insediamento.

Nel XIV° sec. l’insediamento venne fortificato con la costruzione di un castello di proprietà dei Ruffo di Sinopoli che mantennero il possesso per circa quattro generazioni.

Sulle origini del nome attuale invece non vi è certezza ma tante suggestive ipotesi, una prima scuola di pensiero lo vorrebbe far discendere dall’antico nome Motta Leonis, secondo altri invece il nome attuale pare si riferisca al latino “branca” in riferimento alla forma di zampa di leone.

Un’altra teoria individuerebbe l’origine del nome come prestigioso riconoscimento di un miles in quanto le fonti accertano che abbia operato a queste latitudini un tal Andrea Brancaleone.

In ultimo, il nome potrebbe derivare dal nome dalla pianta “boccaleone”, visto che il borgo in alcuni autori viene denominato proprio Boccalionem.

Ruderi Brancaleone

Al di là delle tante suggestioni sul nome del borgo, furono molte, nei secoli le famiglie nobili che governarono questo territorio che sul finire del ‘400 gli aragonesi vollero ulteriormente fortificare.

Dopo i Ruffo, sotto i quali nell’ultimo periodo il territorio patì una forte crisi economica, il feudo passò agli Ayerbo d’Aragona e successivamente nella seconda metà del ‘500 agli Spatafora e successivamente ai Carafa fino al 1806, in un susseguirsi di vendite facilmente documentabili della quale risparmio i singoli interessantissimi passaggi dai quali ad esempio apprendiamo che qualche anno dopo il 1571 il conte Alfonso de Ayerbo, vende per 30.000 ducati il possedimento di Brancaleone alla nobile messinese Donna Eleonora Spadafora, consorte di  Federico Stayti, che a causa della morte del figlio Andrea, concede poi il possesso di quel territorio al nipote Federico.

Resti di affreschi Madonna del Riposo

Il terremoto del 1783 provoco’ gravi danni per piu’ di venticinquemila ducati, ma fortunatamente non si registrarono vittime

Nel 1799, Brancaleone, per disposizione del generale francese Chianpinnet, venne incluso nel cantone di Bova e nel1806, un provvedimento normativo francese, lo dichiarava Universita’ nel cosiddetto governo di Bianco e distretto di Gerace. Fu infine riconosciuto comune nel 1811.

Il borgo poi venne ulteriormente danneggiato dai terremoti del 1905 e 1908.

Durante il ventennio fascista poi fu la destinazione del confino disposto dal governo fascista nei riguardi del poeta Cesare Pavese.

E’ difficile riassumere in poche righe le tante pagine di storia di questo antico e nobilissimo abitato, che oggi aspira con l’intervento meritorio di tantissimi volenterosi, di raccontarsi e di raccontare la propria storia unica ed allo stesso tempo comune di quell’angolo di Calabria sospeso tra mare e cielo

Grotta Albero della vita

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Tresoldi a Reggio Calabria

E’ stata inaugurata nel weekend tra il 12 ed il 13 settembre presso il lungomare di Reggio di Calabria l’installazione permanete denominata “Opera” frutto della creatività artistica di Edoardo Tresoldi.
Sono stati peraltro due giorni ricchissimi di eventi culturali di spessore che hanno contribuito ad accendere i riflettori in quel pezzo di Lungomare reggino
L’operazione per la realizzazione di Opera è costata complessivamente alla Città Metropolitana di Reggio Calabria 939.400,00 € ed è stata finanziata attraverso i fondi dei “Patti per il sud”.


Nel clima rovente della fase preelettorale si sono registrate feroci polemiche, spesso da derubricare alla voce chiacchiericcio di sottofondo sulla bontà dell’intera operazione.
Ovviamente l’inaugurazione ad opera dell’Amministrazione comunale ad una settimana dalle votazioni non ha contribuito a svelenare il clima.
Ma ovviamente non sono le polemiche strumentali ad interessare questa rubrica.
La realizzazione di questa suggestiva installazione ha permesso alla “Via marina” reggina di
consolidare quel suo ruolo di vero e proprio museo a cielo aperto. Uno spazio inclusivo che permette attimi di puro godimento sensoriale non solo per la straordinaria bellezza paesaggistica.
Negli anni questa parte del “salotto buono” della città si è arricchito con opere d’arte
contemporanea, pensiamo alle tanto criticate statue di Rabarama diventate poi nel tempo uno dei simboli della città almeno a giudicare dalla mole di foto che circolano sui social.
Ovviamente non possiamo dimenticare i resti della città antica che fanno bella mostra di se sempre nel cosiddetto “chilometro più bello d’Italia”, dalle Mura greche alle Terme romane fino alla tomba ellenistica.


Chiaro che anche in questo angolo di città le criticità non mancano, basti pensare all’aria del
tempietto, la più sacra per la storia cittadina oggi relegata a mera appendice del Lungomare.
Ma se è ovvio che le criticità non manchino mi chiedo cosa spinge la comunità reggina a non gioire se per un attimo la città assurge alle cronache nazionali e non solo per un fatto di grandissimo spessore culturale.
Ancora una volta lascio la polemica ai professionisti.
Di fatto Opera va a creare in angolo di Reggio una sorta di rievocazione di un peristilio di ordine ionico con 46 colonne di otto metri ciascuna su una superfice di 2500 metri quadrati.
La trasparenza di queste strutture permette una lettura unitaria con il paesaggio sublime dello Stretto. Opera permette al fruitore di evocare dentro di se i sentimenti che legano l’individuo ad un passato comune, questo è il luogo dove quello che non c’è più viene richiamato per diventare qualcosa che ci deve proiettare verso il futuro.


Se si ha poi la pazienza di attendere l’ora del tramonto quando i reticoli delle colonne incrociano la luce ambrata del sole che muore è proprio lì che inizia la magia. Le luci, la sera, rendono l’installazione ancora più emozionante facendola svettare nel cielo e captando emozioni che magari si esprimono anche in una semplice foto da parte di chi fino a qualche ora prima esprimeva giudizi al vetriolo.
E’ chiaro che un’opera artistica può incontrare il favore o l’opposizione della critica ed il confronto schietto e sincero è un portato fondamentale dell’arte. Rimane tuttavia inutile la critica sterile e pretestuosa, peggio se cela malamente interessi politici, questa tende a distruggere qualsiasi cosa di buono per biechi interessi di clan.

Alla fine i sindaci passano, le chiacchiere pure ma la città no.