Le mie interviste

A Gerace per “Arte e Fede” con Giuseppe Mantella

Ad agosto ho ovuto il piacere di fare una chiacchierata con Giuseppe Mantella, vera anima del progetto “Arte e fede nella diocesi di Locri-Gerace”. Quest’idea che di anno in anno ha confermato standard elevatissimi è giunta alla sua quarta edizione ed è finanziata con il bando regionale PAC 2014-2020 AZ. 2 mostre d’arte.

“Arte e Fede”, come già detto, è ideato da Giuseppe Mantella e coordinato da Don Fabrizio Cotardo e Don Angelo Festa. Il progetto è promosso da Monsignor Francesco Oliva, Vescovo della diocesi locridea.
Tantissimi gli enti coinvolti come la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Cosenza, Catanzaro e Crotone e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia.

Con Giuseppe Mantella abbiamo fatto il punto della situazione alzando un po’ lo sguardo sulle prospettive future.

Così Mantella: “L’idea è quella di non far chiudere il cantiere, nel senso che Arte e Fede non deve fermarsi il dodici di agosto ma continuare fino a conclusione dei lavori. Gli anni scorsi il cantiere finiva e poi eravamo noi restauratori a completare i lavori. Quest’anno vogliamo che siano coloro i quali hanno lavorato durante l’estate, continuando gli accordi quadro con le diverse Università, a tornare ospiti del nostro Vescovo e con noi concludere queste operazioni. Quest’anno abbiamo preso in considerazione Fra Diego da Careri con la Madonna degli Angeli di Badolato. Vogliamo farlo conoscere attraverso questa macchina barocca e tra gennaio e febbraio organizzare una prima giornata di studi su Fra Diego da Careri ed esporre questa straordinaria opera. Fare in modo che il progetto possa continuare vuol dire anche che nel giro di due anni possa venire fuori una monografia di tutte le opere che lui ha realizzato in tutta Italia (…). E’ da tenere in considerazione una cosa importante, è un’opera che non è della Diocesi di Locri e Gerace, ma nello spirito di condivisione di quella che è la nostra terra ed i nostri artisti, non bisogna essere territoriali ma inclusivi.

Questo deve essere lo spirito; non siamo Diocesi di Locri Gerace, di Reggio Calabria o di Catanzaro ma siamo la Calabria che fa in modo che i figli della propria terra possano venire fuori. E’ questo lo spirito del progetto. Bisogna fare in modo che il prossimo anno possano nascere accanto ad Arte e Fede altre iniziative importanti dal punto di vista scientifico. Aprire la Cittadella di Gerace è l’obiettivo di Sua Eccellenza, fare in modo che possa diventare una sorta di centro culturale in cui si possa realizzare veramente questo sogno, fare in modo che la Calabria possa produrre cultura in un luogo storico come Gerace. La volontà c’è, i protagonisti ci sono, tutto quello che si sta facendo lo si fa come volontari a titolo gratuito ma in maniera estremamente professionale. Le risposte che abbiamo avuto dalle università
e dalle istituzioni sono straordinarie, abbiamo visto che c’è sete e fame di tutto questo e quindi non possiamo che continuare. Dopo la mostra su Fra Diego da Careri abbiamo previsto per l’inverno tutta una serie di attività didattiche per le scuole all’interno del museo e contemporaneamente fare in modo, attraverso le associazioni come il FAI o Legambiente, che questo luogo possa essere punto d’incontro per conferenze o qualsiasi altra iniziativa possa essere realizzata. Quindi non solo Arte e Fede ma a 360 gradi, non lavorare in maniera esclusiva ma fare in modo che tutti possano considerare questo luogo aperto per quelle che possono essere future iniziative. Arte e fede il prossimo anno continuerà con un nuovo progetto. Speriamo di riuscire ad avere i fondi dalla Regione Calabria, come lo scorso anno quando ci ha sostenuto per la mostra sui Santi Taumaturghi. Quest’anno vogliamo realizzare una mostra sul barocco in Calabria e quindi con i partner nazionali che abbiamo dobbiamo fare qualcosa di importante.”

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Viaggio in Calabria

Un racconto per immagini della processione della “Vara” di Reggio Calabria

Mai avevo seguito così da vicino la processione del martedì della Vara della Madonna della Consolazione di Reggio Calabria.

Sono state per me emozioni fortissime, dall’attesa in Cattedrale fino all’urlo ripetuto e veemente dei Portatori e della gente durante l’ingresso, a sera fatta, nel Duomo. Un nodo in gola mi sale ed in alcuni, vicino a me, quello stesso nodo si scioglie in un pianto. Sono tanti i volti, i momenti che affollano quel martedì, come il messaggio durissimo del Vescovo Morosini che raccomanda di votare secondo coscienza e non secondo convenieza, oppure l’invito agli amministratori di gestire la cosa pubblica nell’interesse di tutti e non di quello di parte, passaggi ai quali nonostante gli applausi del pubblico nessuno ha deciso di dare eco.

Sono emozioni forti dicevo che ho deciso di condividere con voi attraverso questi scatti…

Pillole di storia

La storia “I festa Maronna”, la festa di Reggio Calabria

Troppo spesso questo lembo estremo della penisola Italiana, Reggio, manifesta la sindrome della memoria del criceto, il che non permette ai suoi abitanti di vivere a pieno il significato anche dei propri riti collettivi. Ad esempio, la storia dei Cappuccini all’Eremo è una storia molto antica e da sempre collegata alla venerazione dell’effige della Madonna della Consolazione.

I Cappuccini arrivarono sull’altura alle spalle della città (l’Eremo appunto) nel 1533 trasferendosi dalla Valletuccio, invitati dall’arcivescovo del tempo Girolamo Centelles, e si insediarono su di un terreno che venne donato da un nobile, tale Giovan Bernardo Mileto.

Nel fondo, in cui i Cappuccini fecero sorgere la loro comunità, insisteva una cappella, con una riproduzione della Madonna della Consolazione di piccole dimensioni.

Nel 1547 per la costruzione di una chiesa, che rispondesse alle mutate esigenze di un culto che si rafforzava, al quale seguì inevitabilmente la crescita della comunità dei Cappuccini, il nobile Camillo Diano commissionò  al pittore Nicolò Andrea Capriolo una nuova raffigurazione della Vergine.

La nuova opera, quella a noi pervenuta, si arricchisce di due figure oltre alla Madonna con Bambino, si sommarono infatti San Francesco e Sant’Antonio, nei quali si ipotizza che l’artista abbia rappresentato i due nobili benefattori, Diano e Mileto.

Lo stretto legame però tra la cittadinanza reggina e la sua Patrona inizia nel decennio che va dal 1567 al 1577.
Sono proprio i Cappuccini ad occuparsi degli appestati ed è proprio ad un frate, Antonio Tripodi, che si trovava in preghiera davanti al quadro, che la Vergine preannunciò la fine della pestilenza.

Successivamente verrà avvertito il governatore, e si disporrà una processione popolare verso l’Eremo.

Nelle successive pestilenze del 1636 e 1656 il legame con l’Avvocata del popolo reggino crebbe e si consolidò ulteriormente.

Il rapporto tra la Madre della Consolazione ed i reggini si fortificò successivamente in occasione anche di altri eventi calamitosi come carestie o eventi tellurici. Nel terremoto del 1693 in occasione il quadro raffigurante la Vergine venne spostato al Duomo e le celebrazioni Mariane vennero organizzate non più nel mese di novembre ma bensì a settembre.

Il filo rosso tra Maria ed il suo popolo percorre a tappe costanti la travagliata storia della città dello Stretto anche in epoca moderna, come nel caso dei devastanti terremoti del 1783 (che causò l’allontamento dei Cappuccini dall’Eremo, dove fecero ritorno nel 1801) e del 1908.

Infine due date che costituiscono un po’ i prodromi della festa come noi oggi la conosciamo, cioè il 1819 quando Mons. Tommasini dispose che la festa assumesse carattere diocesano ed infine il 1896, data nella quale il Sindaco del tempo ed il Card. Portanova disposero che la sede Vescovile avrebbe provveduto all’organizzazione della festività annuale con una preparazione di sette sabati da celebrarsi all’Eremo, mentre l’amministrazione si assunse l’impegno della realizzazione di celebrazioni civili.

Quel legame, che ancora oggi si avverte, resta uno dei pochi barlumi di unità, in una città perennemente divisa, che in occasione delle feste settembrine riesce a trovare momenti di convivenza, anche se spesso traumatica e troppo spesso solo folklorica.

Riuscire a riabbracciare quello che siamo stati, conoscerlo, permette di individuare tratti comuni ed anche diversi ovviamente, che non necessariamente sfociano nel sacro, ma che inevitabilmente ci parlano di noi, di quei bagliori di storia comune che deve far di Reggio una comunità.