Le mie interviste

La mia intervista ad Armando Donato

Ho deciso di presentarvi attraverso una breve intervista Armando Donato.

Armando oggi lavora oltre confine ma sicuramente avrebbe molto da dare alle nostre latitudini.

Io ho avuto la fortuna di conoscerlo grazie ad un altro grande professionista, Davide Rizzo, anche lui al momento volato via per motivi di lavoro ma con cuore e testa ben ancorati in riva allo Stretto.

Armando parlaci un po’ di te, i tuoi studi, la tua storia, i tuoi attuali impegni.

Sono nato a Messina. Dopo la maturità classica e il servizio di leva nell’Esercito, mi sono laureato in Economia del Turismo (indirizzo beni culturali, ambiente e trasporti), seguendo poi un corso a Firenze sul Management del turismo culturale.

Per quasi un decennio ho insegnato materie economico/giuridiche applicate al settore turistico culturale presso enti, scuole, accademie di formazione e per progetti di sviluppo turistico. Inoltre per motivi di ricerca ho vissuto a Roma, Venezia e Parigi trasferendomi poi definitivamente a Londra.

Qui lavoro nel settore turistico occupandomi di customer service e collaborando con realtà quali per esempio il National Geographic Channel (documentario Nazi Megastructures).

Nel contempo frequento un corso riguardante gli studi museali presso la Leicester University e da oltre un anno presto servizio come volontario nel Supporting Staff degli Imperial War Museums, London Branch.

La mia prima pubblicazione risale al 2005. Successivamente ho inziato a stringere rapporti di collaborazione per riviste specializzate italiane ed estere operanti nel settore della storia militare (fortificazioni, armi, uniformi ecc).

In particolare l’Accademia di San Marciano (Bollettino Armi Antiche) di Torino, la Società di Italiana di Storia MIlitare di Roma, gli Uffici Storici della Marina e dell’ Esercito, la British Archaeological Reports  di Oxford, il  magazine After The Battle nell’Essex, la  Osprey Publishing di Oxford.

Ci racconti da dove nasce la tua incredibile passione verso i forti dello Stretto e cosa rappresentano per te, sia dal punto di vista storico ma anche come possibile volano economico per l’intera area?

La mia passione per la storia militare è innata. Crescendo ho sviluppato tale passione indirizzandola nello studio e nella ricerca, aiutato anche dal fatto di aver abitato per molti decenni presso uno dei luoghi più fortificati della Sicilia, ancora oggi ricco di opere ascrivibili agli ultimi 200 anni. Vestigia  luoghi che ho avuto la fortuna di vivere sin dalla metà degli anni Ottanta.

Tra queste non vi sono soltanto tre delle vecchie batterie di fine Ottocento in cui sono cresciuto (Masotto, Serra la Croce e Crispi), ma anche opere più antiche (inizi Ottocento) e più giovani (1930-1943) che circa 20 anni fa ho provveduto a catalogare e documentare nel suo insieme pubblicandole nei miei scritti.

Cosa secondo te ha impedito il corretto utilizzo di questi beni?

I nostri beni storico militari rappresentano una fondamentale occasione e opportunità purtroppo mai sfruttata, a  fronte della grande quantità e dell’ottimo stato di conservazione.

Il mancato sfruttamento economico consapevole e sostenibile dei suddetti beni  ha origine da un problema a monte, da imputarsi in massima parte alla classe politica locale ovvero gli amministratori; assolutamente impreparati quando non indifferenti.

Non è infatti difficile rilevare che dalle nostre parti, il settore turistico culturale sia inteso quale mero passatempo o realtà secondaria alla portata di tutti, quando invece è un ambito importantissimo direi fondamentale in cui <devono > operare professionisti qualificati e capaci, così come avviene in tutti gli altri settori.

Tale tendenza è ben evidenziata dallo scarso interesse verso la cultura, che si appalesa  con nomine in assessorati o altri incarichi strategici di responsabilità a coloro che molto spesso non hanno titoli, competenze ed esperienze lavorative. Ciò non solo comporta uno scontato abbassamento della qualità dell’offerta culturale e turistica (ammettendo che esista), ma anche la scorretta sottrazione di spazi e opportunità a quelle figure competenti, formatesi proprio per lavorare in tali settori.

Qual è, dal tuo punto di vista, la corretta rotta da seguire per dare un futuro credibile a queste preziose testimonianze e alle comunità che gravitano intorno a esse?

Nel 2021 in un mondo globalizzato e caratterizzato da una fortissima concorrenza, come potrebbe ad esempio un assessore al turismo o alla cultura di un dato Comune della nostra area, non conoscere almeno l’inglese, non avere titoli e “skills” adeguati, non sapere cosa sia l’overbooking, il prodotto turistico o il valore d’uso di un bene culturale? Come potrebbe risolvere i problemi esistenti, promuovere magari all’estero il territorio e porre in essere le necessarie condizioni al fine di creare sviluppo, ricchezza e reddito nel medio lungo periodo? La risposta è semplice; in nessun modo, infatti i risultati sono tristemente evidenti in tal senso.

In conclusione, sorvolando sullo sperpero di  risorse  pubbliche che spesso contraddistinguono certe pseudo attività  e servizi culturali propinati alla comunità, in base alla mia esperienza ritengo che sia  inutile relazionarsi e interfacciarsi con realtà locali come quelle sopracitate, aventi obiettivi ben lontani da quelli miei o di chiunque altro operi in questo ambito in maniera seria, onesta e libera. 

Sicuramente la ricerca scientifica con relative attività svolte in autonomia (pubblicazioni, conferenze, progetti, documentari, attività di incoming), sono al momento l’unica risposta o alternativa all’attuale nulla che purtroppo contraddistingue il nostro territorio da questo punto di vista e non solo.

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Viaggio in Calabria

Le meraviglie della Collina di Pentimele

Esiste un luogo a pochi passi dal centro storico della città di Reggio Calabria che forse più di ogni altro potrebbe diventare vetrina delle potenzialità ecoturistiche della nostra terra.
Mi riferisco a quel balcone naturale che risponde al nome di Collina di Pentimele.
Tralasciamo il naturale snodo viario che dalla zona “Serpentone” porta agilmente alla sommità di questa dolce altura. Decidiamo di affrontare il breve dislivello che dallo snodo della tangenziale Via Lia, permette con qualche minuto di fatica, di percorrere brevemente il Sentiero Italia e godere di uno dei paesaggi più incredibili sull’intera città.

La città vista da Pentimele


Già da solo, il Sentiero per eccellenza potrebbe bastare ad una oculata politica attenta ad un approccio dolce alle aree interne a focalizzare l’attenzione su questi luoghi, ma andiamo oltre.
Non percorriamo che qualche centinaio di metri di questo sentiero, pensato già negli anni 80 e poi realizzato un decennio dopo, con l’obiettivo di collegare l’intero territorio nazionale da nord a sud, isole comprese. Fermiamoci su queste alture.
Qui, il mito ci racconta dell’origine di questo nome particolare riallacciandosi alla storia di cinque splendide fanciulle. Le donne erano gemelle perfettamente identiche ed era possibile distinguerle solo attraverso il canto che pervadeva l’intero circondario e da qui la denominazione della collina dei cinque canti.
Dal mito alla storia poi il salto è brevissimo. Intatte su queste alture si conservano le ultime pagine delle fortificazioni dello Stretto. Silenti testimoni di uno dei momenti che riunificarono nuovamente la storia delle due sponde di questo incredibile braccio di mare, i forti ottocenteschi attendono l’occasione per esprimere a pieno le loro potenzialità.
Opere sulle quali negli anni si sono incrostati falsi miti come l’improprio nome “umbertini”, di fantasiosi collegamenti ecc…


Queste due incredibili opere facevano parte del complesso sistema voluto come ammodernamento della protezione della costa dal neonato Regno d’Italia negli anni 60 dell’800 per poi vedere l’avvio dei lavori di realizzazione negli anni 80 dello stesso secolo.
La sola sponda calabrese ospita ben otto fortezze di varia dimensione alle quali nel ‘900 ne venne aggiunta un’altra a Modena. Questa risponde a tecniche edilizie e ad esigenze belliche che in quei decenni si modificarono a ritmi vorticosi.
Oggi i due forti di Pentimele dopo un’opera di ristrutturazione conservativa aspettano una sorte definitiva che mi auguro possa essere proficua per il territorio. Immagino ad esempio un luogo nel quale si possa conservare, studiare e tramandare la memoria delle fasi ultime della nostra storia, dall’800 al ‘900.
Proprio Pentimele fu luogo testimone di quelle pagine.
Proprio la rada sottostante ospitò parte della spedizione che mosse alla volta della Sicilia quando i franco-napoletani, all’inizi dell’800, pianificarono l’occupazione della Sicilia per strapparla ai borbonici che protetti dai britannici ripararono sull’isola.
Dei forti ottocenteschi abbiamo già parlato, ma Pentimele anche nella fase successiva ospitò strutture difensive che rispondevano al mutato quadro di riferimento dell’“arte della guerra” e proprio in quel luogo incantato vennero edificate alcune postazioni per la difesa contraerea della città oltre a tutta una serie di strutture fondamentali allo sforzo bellico italiano.

Non dimentichiamo che nel 1943 il fronte della Seconda guerra mondiale passò proprio alle nostre latitudini.
Fa impressione vedere gli effetti dei bombardamenti, riecheggiano alcune sciocche considerazioni di chi la guerra non l’ha mai vissuta e banalmente la invoca.

Gli effetti di uno “spezzonamento”


Stona ancora di più sul far della sera quando da questo luogo quasi onirico si riesce ad apprezzare una visuale impareggiabile sulla Città.
Abbiamo bisogno di visione unitaria e di utilizzo economicamente orientato affinché tutta questa memoria possa diventare anche utile per il territorio che l’ha vissuta ed oggi quasi dimenticata.