Esiste un luogo a pochi passi dal centro storico della città di Reggio Calabria che forse più di ogni altro potrebbe diventare vetrina delle potenzialità ecoturistiche della nostra terra. Mi riferisco a quel balcone naturale che risponde al nome di Collina di Pentimele. Tralasciamo il naturale snodo viario che dalla zona “Serpentone” porta agilmente alla sommità di questa dolce altura. Decidiamo di affrontare il breve dislivello che dallo snodo della tangenziale Via Lia, permette con qualche minuto di fatica, di percorrere brevemente il Sentiero Italia e godere di uno dei paesaggi più incredibili sull’intera città.
La città vista da Pentimele
Già da solo, il Sentiero per eccellenza potrebbe bastare ad una oculata politica attenta ad un approccio dolce alle aree interne a focalizzare l’attenzione su questi luoghi, ma andiamo oltre. Non percorriamo che qualche centinaio di metri di questo sentiero, pensato già negli anni 80 e poi realizzato un decennio dopo, con l’obiettivo di collegare l’intero territorio nazionale da nord a sud, isole comprese. Fermiamoci su queste alture. Qui, il mito ci racconta dell’origine di questo nome particolare riallacciandosi alla storia di cinque splendide fanciulle. Le donne erano gemelle perfettamente identiche ed era possibile distinguerle solo attraverso il canto che pervadeva l’intero circondario e da qui la denominazione della collina dei cinque canti. Dal mito alla storia poi il salto è brevissimo. Intatte su queste alture si conservano le ultime pagine delle fortificazioni dello Stretto. Silenti testimoni di uno dei momenti che riunificarono nuovamente la storia delle due sponde di questo incredibile braccio di mare, i forti ottocenteschi attendono l’occasione per esprimere a pieno le loro potenzialità. Opere sulle quali negli anni si sono incrostati falsi miti come l’improprio nome “umbertini”, di fantasiosi collegamenti ecc…
Dettagli dei Forti di Pentimele
Queste due incredibili opere facevano parte del complesso sistema voluto come ammodernamento della protezione della costa dal neonato Regno d’Italia negli anni 60 dell’800 per poi vedere l’avvio dei lavori di realizzazione negli anni 80 dello stesso secolo. La sola sponda calabrese ospita ben otto fortezze di varia dimensione alle quali nel ‘900 ne venne aggiunta un’altra a Modena. Questa risponde a tecniche edilizie e ad esigenze belliche che in quei decenni si modificarono a ritmi vorticosi. Oggi i due forti di Pentimele dopo un’opera di ristrutturazione conservativa aspettano una sorte definitiva che mi auguro possa essere proficua per il territorio. Immagino ad esempio un luogo nel quale si possa conservare, studiare e tramandare la memoria delle fasi ultime della nostra storia, dall’800 al ‘900. Proprio Pentimele fu luogo testimone di quelle pagine. Proprio la rada sottostante ospitò parte della spedizione che mosse alla volta della Sicilia quando i franco-napoletani, all’inizi dell’800, pianificarono l’occupazione della Sicilia per strapparla ai borbonici che protetti dai britannici ripararono sull’isola. Dei forti ottocenteschi abbiamo già parlato, ma Pentimele anche nella fase successiva ospitò strutture difensive che rispondevano al mutato quadro di riferimento dell’“arte della guerra” e proprio in quel luogo incantato vennero edificate alcune postazioni per la difesa contraerea della città oltre a tutta una serie di strutture fondamentali allo sforzo bellico italiano.
Le strutture novecentesche che furono il fronte nella Seconda Guerra Mondiale
Non dimentichiamo che nel 1943 il fronte della Seconda guerra mondiale passò proprio alle nostre latitudini. Fa impressione vedere gli effetti dei bombardamenti, riecheggiano alcune sciocche considerazioni di chi la guerra non l’ha mai vissuta e banalmente la invoca.
Gli effetti di uno “spezzonamento”
Stona ancora di più sul far della sera quando da questo luogo quasi onirico si riesce ad apprezzare una visuale impareggiabile sulla Città. Abbiamo bisogno di visione unitaria e di utilizzo economicamente orientato affinché tutta questa memoria possa diventare anche utile per il territorio che l’ha vissuta ed oggi quasi dimenticata.
Vi avevo già parlato di alcuni Forti Umbertini (termine che utilizziamo convenzionalmente ma di cui non c’è traccia nelle fonti) e della rinascita di quelli nel territorio di Campo Calabro.
In queste settimane sono tornato a dedicarmi allo studio di quel complesso sistema di difesa del braccio di mare che unisce la Calabria alla Sicilia.
Appena il covid ha mollato un po’ la sua stretta, ho ripreso la mia ricerca attraversando lo Stretto per studiare alcuni sentieri che portano ai numerosi forti che costellano la costa messinese per poi dedicarmi ai nove forti reggini (otto dei quali ottocenteschi).
Il sistema dei Forti che integra anche alcune strutture non ottocentesche (foto comune Messina)
E’ stato veramente un viaggio emozionante, condito da tante pause, con gli occhi che si facevano facilmente rapire dallo Stretto che appariva come un nastro di seta azzurra.
Lo Stretto da Forte Masotto
Come ci eravamo già detti, questo complesso sistema, venne pensato dal neonato Regno d’Italia quasi per mostrare i muscoli nei confronti delle altre superpotenze mediterranee dell’800.
Costruito nel giro di pochissimi anni, comprese vie di comunicazione e strutture a supporto, il sitema non venne mai messo alla prova dai nemici se non durante la seconda guerra mondiale, ma con tecniche che non rispondevano più a quelle ottocentesche. Basti pensare a come nel ‘900 l’arma aerea rivoluzioni totalmente il sitema di impiego delle forze aeronavali.
I malpensanti potrebbero sostenere che quindi il complesso venne realizzato inutilmente ma a me piace pensare che la forza dissuasiva di queste incredibili postazioni d’artiglieria, seppe convincere le flotte avversarie a girare molto lontano dalle nostre coste.
I forti vennero pensati come delle strutture perfettamente difendibili via terra, ereditando dal passato elementi come fossati e torri armate con postazioni di tiro (caponiere).
Ma l’elemento che più stupisce, è il perfetto mimetismo dal mare, dove le sciagurate imbarcazioni non avrebbero potuto individuare nulla dei Forti, se non i terrapieni dentro i quali questi ultimi vennero costruiti.
Il mimetismo di Forte Masotto dietro la collina al centro
L’intero complesso prevedeva delle studiatissime linee di tiro, che da un forte all’altro si susseguivano con un fuoco da due sponde diverse.
La parte calabrese di questo ingegnoso sistema, prevedeva una postazione di grandi dimensioni, Forte Batteria Siacci, ultimata nel 1888 e una serie di forti satelliti nelle immediate vicinanze, Forte Poggio Pignatelli e Matiniti Inferiore.
Ridiscendendo verso Reggio si incontrano il Forte Telegrafo a Piale, oggi rudere dopo le bombe del secondo conflitto mondiale, il Forte Catona ed il Gullì, che oggi ospita l’interessantissimo Parco Ecolandia che al suo interno conserva un bella sala che narra la storia dei forti.
Con un ultimo salto giungiamo nella città del Bergamotto, a difesa della quale vennero realizzate sulle alture di Pentimele i piccoli Forte Sud e Forte Pellizzari.
Il mio viaggio si è concluso nella periferia sud della città, dove è possibile ancora oggi ammirare il fratello più giovane dei Forti, costruito ad anni di distanza rispetto agli altri, proprio a ridosso del primo conflitto mondiale.
Quì è possibile ammirare le innovazioni architettoniche che i costruttori vollero realizzare rispetto ai tradizionali disegni che ritroviamo in copia in tutti gli altri Forti.
A Sbarre (quartiere Modena in realtà) i paioli che ospitavano i pezzi di artiglieria vennero spostati dietro l’intero complesso come la postazione telemetrica (singola rispetto alla consueta doppia struttura). Qui vennerò montati pezzi diversi rispetto ai consueti obici da 280 in quanto vennerò allestite le piazzole quattro calibri da 305 con alto parapetto.
La più evidente novità appare l’utilizzo di materiali diversi, il mattone aveva già ampiamente sostituito la pietra.
Oggi questi Forti, testimoni muti di una guerra che alla fine non si svolse mai, raccontano delle storie pazzesche che aspettano solo di essere raccontare. Mi piace pensare che il sistema delle Sentinelle delle Stretto, almeno per la parte calabrese, sia un po’ l’erede (mi si perdoni la forzatura storica) del sistema delle Motte a difesa di Reggio. Come queste ultime, i Forti Umbertini, si prestano perfettamente ad un approccio ecoturistico lento di riscoperta.
Quelli che un tempo erano luoghi di chiusura e di guerra, oggi devono tornare a vivere con l’apertura, sia dei loro cancelli che dei nostri cuori e pensieri.
A Campo Calabro ho avuto il piacere di incontare il sindaco Alessandro Repaci e scambiare con lui qualche battuta su Forte Batteria Siacci, sul sitema dei forti umbertini di Campo e sulla prospettiva di sviluppo di questi importantissimi beni culturali.
Ho deciso di riportarvi integralmente le risposte perchè ritengo che da queste righe emerga la visione complessiva su Siacci, condita da numeri, che si offre alla vostra valutazione.
Sindaco il giorno dell’apertura di forte Siacci si è definito più fortunato dei suoi predecessori, perchè?
Fortunato perché ritengo che in tutte le vicende, anche amministrative, vada colta una “congiunzione astrale”. Le amministrazioni che mi hanno preceduto si sono occupate, con alterne vicende e con alterne fortune, del recupero e della valorizzazione dei forti.
Da sempre questo sistema fortificato ha
esercitato un’attrattiva ed è stata un’aspirazione per gli
amministratori da quando i forti sono stati dismessi. Ma non sempre
le amministrazioni sono state fortunate. Non sempre i provvedimenti
amministrativi, le disponibilità degli enti che ce li avevano in
custodia o che avevano responsabilità vincolistiche sono state
favorevoli.
Noi abbiamo un sistema di fortezze che è costituito da tre forti. Diciamo che gli amministratori negli ultimi trentanni, da quando i forti sono stati dismessi, hanno sempre coltivato l’aspirazione di utilizzarli come volano di sviluppo anche quando, al tempo non erano ancora, a differenza di oggi, tutelati come beni culturali.
Solo il Comune di Campo Calabro li ha sempre pensati come sistema unitario, ma a questa concezione generale dell’amministrazione comunale, ma anche della gente, non corrispondeva un’analoga considerazione da parte dello Stato. Erano semplicemente pezzi di muri, noiosi e fastidiosi che bisognava manutenere e quindi rappresentavano un peso.
Quindi c’era il Comune, che li considerava una risorsa seppur in un progetto abbastanza vago di valorizzazione, dall’altra lo Stato che li considerava pezzi di muri fastidiosi. Queste due visioni profondamente diverse non si sono mai incontrate. Quindi è stato il Comune con l’operazione di Poggio Pignatelli nel 2014, che ha per primo detto: vogliamo questo bene a titolo gratuito e ci impegniamo a valorizzarlo. Quindi è stata, come in una campagna militare, che noi abbiamo,e stiamo, espugnando i forti uno ad uno.
Abbiamo espugnato Pignatelli sul quale sono stati spesi circa 800000 euro per una sufficiente rifunzionalizzazione degli ambienti. Stiamo cercando di capire come possiamo spingere fino in fondo, l’ulteriore impegno, che è quello della realizzazione della strada d’ingresso.
Quest’ultima ha avuto delle vicende tormentate ma siamo in grado di dire che entro la fine dell’anno a Poggio Pignatelli saranno spesi altri 700000 euro, come previsti dai Patti per il Sud e questo per completerà l’opera di rifunzionalizzazione su Pignatelli.
Poi abbiamo espugnato Siacci con un blitzkrieg, un’operazione velocissima.
In 26 mesi questo posto, che era inaccessibile, coperto dai rovi ad oggi (28 settembre) dal 18 di giugno ha registrato 1100 visitatori. Abbiamo realizzato dei percorsi che possono essere visitati in condizione di sicurezza. Abbiamo alcuni dipendenti comunali ed un gruppo di volontari che stanno lavorando per tenere aperto il forte. Abbiamo una mostra che verrà soprattutto utilizzata per le scuole, ed abbiamo avviato una campagna di comunicazione.
In ultimo, sull’ex deposito munizione Matiniti Inferiore, in ragione di quella visione statale di vedere quest’ immobili senza un’idea unitaria neppure catastalmente. Loro non capivano (lo Stato centrale ndr), che questi fogli erano realizzati secondo un disegno strategico steso nel 1800 e ciascuno li considerava dei pezzi.
Matiniti Inferiore fu imprudentemente cartolarizzato dal governo Berlusconi ed è finito nelle fauci di una immobiliare, sia pur partecipata dallo Stato, che si chiama Cassa depositi e prestiti immobiliare. La quale, ha avuto il coraggio civile di metterlo in vendita. Fino a quando il comune, con una lettera, non ha fatto scattare il vincolo sul bene ed ha rappresentato in maniera garbata ma ferma che questo bene appartiene all’eredità storica, culturale ed identitaria del Comune di Campo Calabro e che noi non ce lo lasceremo sfuggire e su di esso abbiamo messo un’ipoteca culturale e storica che faremo valere in ogni momento e a qualsiasi costo.
Ad oggi cosa dobbiamo intendere con il termine valorizzazione per il forte? Anche in termini comunicativi, visto che spesso si avvian campagne di comunicazione che partono e nel breve termine si interrompono facendo percepire ai potenziali fruitori che le attività di gestione si sono interrotte. Ad oggi qual è la vostra idea di valorizzazione per i forti?
Oggi non parliamo più di idee ma di atto amministrativo. Affinché
Mibac desse parere positivo all’acquisto del bene, ci siamo dovuti
impegnare formalmente in un programma di valorizzazione. Un programma
molto corposo, che è stato approvato dal consiglio comunale e
comprende una serie di
azioni in un cronoprogramma preciso. Questo programma è l’appendice
all’accordo di valorizzazione che noi abbiamo sottoscritto. Lo Stato
non da questi beni a scatola chiusa, ma si accerta che l’ente che li
vuole acquisire sia in condizioni, strutturali e finanziarie,
adatte a reggere questa sfida. Per questo richiede una serie di
garanzie che sono rappresentate per tabulas in questo
documento.
Il programma di valorizzazione di Forte Siacci parte dalla sua importanza all’interno delle fortificazioni umbertine, dal suo punto geografico che offre panorami mozzafiato e dalle sue caratteristiche costruttive che sono già meritevoli di una visita. Se si accede al forte e si seguono i due percorsi, ce ne sarebbero altri otto in teoria, si impegnano quaranta minuti.
Stiamo parlando non più di un turista ma di un viaggiatore. Di una persona che entra non solo in un luogo, ma nella sua dimensione storica e culturale. Noi vorremmo che si potessero sviluppare all’interno del forte almeno tre attività. Gli ambienti verranno rifunzionalizzati e dedicati in parte ad un polo museale permanente, per il quale siamo già in contatto con collezionisti non solo calabresi. Puntiamo alla realizzazione di un’esposizione museale a carattere militare di cui una sezione, piccola, sia dedicata a forte batteria Siacci.
In una seconda parte, una serie di ambienti collegati, dedicata alla presentazione di eventi.
Una terza parte invece sarà rifunzionalizzata nel rispetto della sua funzione originaria. Tutte le stanze degli ufficiali verranno trasformate in un ostello.
Quindi si utilizzerà questo layout dell’ospitalità sostenibile e
giovanile europea per consentire la permanenza all’interno della
struttura.
Poi abbiamo una serie di idee che riguardano gli ampi spazi esterni,
che hanno la caratteristica di essere sgombri da ogni manufatto,
grazie ai vincoli militari.
La creazione di una struttura che accoglie i visitatori, ne fa soggiornare una parte, rappresenta l’idea culturale di un percorso della memoria attraverso le esposizioni museali, mette a disposizione della cultura e dell’imprenditoria degli spazi di prestigio per eventi. Tenga conto che sarà possibile celebrare matrimoni civili perché una parte del forte verrà dichiarato ufficio dello stato civile. Questo fa scoccare la scintilla della creazione di una microeconomia inevitabile.
Nello stesso tempo fa entrare questo bene in un circuito che ha la necessità di servizi aggiuntivi, bar, area di merchandising,biglietteria.
Un grande bene culturale, che è gestito secondo criteri moderni ,nel rispetto della sua vocazione storica, e soprattutto gestito all’interno di un disegno che vuole portare all’interno del tessuto economico del territorio ricchezze, mettendo in competizione Siacci con le grandi strutture militari e difensive europee.
Ovviamente da soli non riusciamo a fare niente, abbiamo bisogno che la Città Metropolitana, smetta di considerare la provinciale Campo Calabro / Matiniti come via accessoria e la consideri come via principale di accesso al sistema delle fortezze. Abbiamo bisogno che il comune di Campo, nella parte amministrativa, della quale io ho la responsabilità, presti maggiore attenzione a quella frazione.
L’ acquisizione a titolo non oneroso di questo bene scatena una serie di azioni positive. La verità è che queste azioni vanno governate dal punto di vista della successione cronologica e dal punto di vista dell’estrema attenzione dei soggetti con i quali ci mettiamo in relazione per questa cosa.
Aggiungo che non è irrilevante all’interno del programma di
valorizzazione il modello di gestione. Lo abbiamo presentato alla
luce di quelle che sono state le precedenti esperienze non solo in
Calabria ma anche a Campo Calabro.
Non siamo soddisfatti del modello di gestione che è stato indicato
nel programma di valorizzazione e poi realizzato a Poggio Pignatelli.
Beni di questo genere e di queste dimensioni non possono essere dati in concessione a privati. La gestione di un bene così importante ha dei costi che difficilmente un’associazione, o comunque un privato, può sostenere. Se si fulmina una lampadina o un faro il comune in 24 ore la ripara, Il privato, l’associazione sia pure generosa, prima deve trovare i soldi. Noi partiamo dal concetto che ci accontentiamo di andare in pari su questi beni e di non perderci. Non ci vogliamo guadagnare. Chi ci vuole guadagnare, la prima cosa che fa è tagliare sulla manutenzione, ma tagliare sulla manutenzione della pulizia del fossato significa portare il bene al degrado nello spazio di qualche anno. Il comune non da in concessione l’immobile, può eventualmente affidare in gestione a partner affidabili i servizi aggiuntivi. Il governo della struttura e dei suoi programmi rimangono in capo all’ente.
Si potrebbe obiettare che però il privato può essere molto più celere, rispetto ai tempi di un’amministrazione, in determinati interventi.
Io sfido i sostenitori del modello privatistico di gestione ad
indicarmi un solo modello di successo che riguarda un bene culturale
gestito da privati. Io non ne ho visti in Calabria ed in Italia
Meridionale.
Qual è il profitto che una comunità come la nostra potrebbe avere
dalla concessione a privati di una struttura simile?
Che cosa è entrato, senza voler fare polemiche con chi che sia, dentro il circuito dell’economia campese dalla gestione di Poggio Pignatelli dal 2014 al 2019. Sfido chiunque a trovare un solo euro che sia entrato nel bilancio del Comune, un solo euro nelle casse dei negozianti di Campo Calabro, un solo euro che sia andato ai giovani di Campo. Parlo di euro guadagnati legittimamente, certificati e tracciati, non dei venti euro passati in nero a Tizio o a Caio perché pulisca un pezzo di terreno contiguo.
La prova è l’avviso per la selezione di un’associazione senza scopo
di lucro per le attività di accoglienza fatta dal Mibac per la
gestione della fortezza Le Castella di Isola Capo Rizzuto.
Il modello di gestione Mibac, con una serie di linee guida, dice
chiaramente che la gestione del bene rimane al Comune che lo governa.
Possono essere affidati a gruppi o anche a privati i servizi
aggiuntivi. Non la strategia complessiva sul bene. Io non posso
spendere come Comune, due milioni di euro, completare l’iter dei
lavori e poi consegnarlo chiavi in mano ad un privato. Il quale alla
prima difficoltà economica, non paga le bollette, ed io devo pagare
gli avvocati per cacciarlo perché ha violato il contratto.
La gestione privatistica è fallita. Questo onere tocca al Comune. Ma a quest’ultimo non tocca l’onere di vendere i biglietti. Il Comune deve governare complessivamente, deve avere l’idea di cosa succede. Scegliere fra un amico di un amministratore che vende olio a Cardeto e al quale viene concessa con una carta improbabile una stanza per vendere olio e la presentazione dell’ultimo modello del Fiat. Il Comune deve essere in grado di dire: preferisco questo rispetto a quello.
Il Comune non è un ente che fa lavori pubblici, è un ente che governa il territorio e deve governare sui beni storici.
Chiaro è che l’esperienza ci dice che il sistema migliore di gestione per beni del genere sia quello di collaborazione tra amministrazione illuminata e privato all’altezza. I modelli per funzionare necessitano di persone capaci che li rendano funzionati.
Ma quali sono le
prospettive di integrazione con le altre fortezze, sia quelle
calabresi che quelle siciliane?
Anche qua credo che molto, non tutto, sia legato al modello di gestione. Faccio un esempio. L’Agenzia del Demanio, non ha mai concesso a titolo non oneroso un bene nella parte siciliana ai Comuni. Il Demanio se li tiene stretti e li affitta a canoni agevolati e già questa è una strategia diversa dalla nostra. Se questo comune parla di Forte Siacci e di Pignatelli parla di beni che sono i suoi e può decidere in relazione a quello che la legge gli permette. Lo stesso non si può dire per forte Masotto (sponda sicula ndr). Noi siamo in contatto con Enzo Caruso, assessore al Comune di Messina. C’è una vecchia idea di metterli in rete. Il problema è che anche qua manca una visione unitaria e sovraregionale. Un ottimo strumento considero la Conferenza permanente interregionale per il coordinamento delle politiche dell’Area dello Stretto. Un organismo sovraregionale che governi in termini culturali questa operazione. Che si faccia carico della messa in rete dei forti e nello stesso tempo dello sviluppo e dell’incentivazione di un circuito turistico che porti il messinese a vedere forte Masotto e poi a passare in Calabri. Avere un pullman che lo aspetti e lo porti a vedere il gemello dall’altra parte. Con a Forte Masotto il museo delle tecnologie militari mentre a forte Pignatelli il museo delle telecomunicazioni e ad Arghillà il museo delle uniformi. Manca questa strategia unitaria perché manca un organismo che la governi.
Che cosa significherebbe una campagna
di comunicazione di alcune centinaia di migliaia di euro, fatta sulle
fortificazioni dell’area dello Stretto piuttosto che i 20000 euro che
il Comune ha impegnato su Siacci. Quali vantaggi porterebbe una
sinergia? Rispetto a questo c’è un’esperienza interessante che è
quella della Carta di Corfù che noi abbiamo sottoscritto come Comune
di Campo Calabro. E’ una rete che faticosamente si sta cercando di
mettere in piedi tra tutte le città del Mediterraneo che hanno un
patrimonio fortificato. Il segreto è quello del coordinamento della
strategia.
In conclusione, dal suo osservatorio, quali devono essere le prossime tappe che amministrazione e comunità devono realizzare per far divenire questo patrimonio reale volano economico?
Quando mi è stato chiesto di scrivere qualche rigo per la pagina di apertura, ho scritto che il sito non era solo dedicato al forte, al suo fascino ed alla sua bellezza, ma che ha anche tra i suoi principali compiti di raccontare quella che noi consideriamo una straordinaria impresa economica, amministrativa ed umana, non del Comune ma dell’intera comunità di Campo Calabro.
Perché per una piccola comunità come la nostra entrare in possesso di beni di tali dimensioni è una grande responsabilità e comporta l’utilizzo di competenze, di risorse umane ed economiche nelle quali è coinvolta l’intera comunità. Ecco dov’è fallita la strategia su Pignatelli. Benché generosamente sostenuto dall’azione di alcuni dei concessionari non è mai riuscito ad essere assorbito all’interno dell’identità culturale e non è mai stato considerato una risorsa identitaria dal Comune di Campo Calabro. La prima cosa che noi abbiamo fatto su Siacci è stata quella di consentire alla popolazione, partendo dagli abitanti della frazione limitrofa, di riappropriarsi di un bene che per anni gli era stato sottratto.
La più grande operazione, che io ritengo questa amministrazione abbia promosso in questa temperie, è quella di stringere una alleanza forte con la comunità circostante e di dire questo bene è il vostro, il portone lo apriamo assieme.
Quando il 18 giugno io ho aperto il portone subito dopo di me e prima delle altre autorità, sono entrati gli abitanti della frazione Matiniti che avevano ricevuto una lettera personale del sindaco che li invitava ad entrare per la prima volta in un pezzo della loro storia.
Se tu non senti il bene come tuo, appartenente alla tua identità culturale è come se lo avessero paracadutato e caduto la per caso. Pensi, il punto ristoro all’interno del forte è gestito da una associazione senza scopo di lucro che è composta per la maggior parte da abitanti della frazione Matiniti. I campi circostanti nell’ottica della condivisione dei beni comuni saranno gestiti sotto la forma amministrativa degli orti urbani dagli abitanti della frazione Matiniti. Sarà un’operazione che permetterà di tenere tutta la comunità dentro questo grande disegno. Un disegno che ha delle tappe amministrative.
Tra qualche settimana, noi sottoscriveremo la convenzione per l’utilizzo del primo milione di euro che ci è stato concesso da Regione Calabria. Con questa cifra ci ripromettiamo di fare una progettazione generale di tutti gli interventi da farsi a forte Siacci, Questo comporterà l’impegno di una cifra abbastanza importante.
Con il resto della cifra, mi dicono i tecnici, circa 600000 euro, riusciremo a rifunzionalizzare il livello zero, a mettere in sicurezza alcuni percorsi ed a rendere fruibili per eventi una serie di ambienti, l’allestimento del polo mostre e del polo museale e a predisporre per la sua definitiva destinazione alberghiera l’ala est del piano zero.
Per gli altri due piani, l’interrato e quello superiore, vanno previsti altri interventi che avranno almeno necessità di un altro milione e seicentomila euro. In questo tempo abbiamo fatto la scelta coraggiosa di tenerlo aperto. Abbiamo accettato una sfida. Queste operazioni possono essere viste sotto due prospettive. Quella dell’ordinario lavoro pubblico: firmi la convenzione, aspetti, fai i lavori, li consegni e fai tutto ciò che si può fare a lavori consegnati. L’altra prospettiva è chiamare tutta la comunità a reggere l’impegno di far entrare questo bene dentro la propria identità culturale e per questo il bene deve essere aperto, visibile e fruibile.