Pillole di storia

La Battaglia di Stirling

Lo Stirlingshire, per la sua posizione geografica, costituisce un fondamentale crocevia per le terre di Scozia.

Il Castello del suo centro principale, Stirling, è stato teatro di accadimenti fondamentali per la storia del Regno Unito, uno su tutti, l’incoronazione a Regina di Scozia della piccolissima Maria Stuarda.

Ma l’evento collegato a questa piccola cittadina scozzese, ormai entrato nella cultura popolare, anche grazie al film Braveheart con Mel Gibson, è un altro.

Si tratta della battaglia che vide contrapposti gli eserciti Inglesi e Scozzesi che si  svolse nel 1297 nell’area dell’ Old Bridge.

Andiamo con ordine.

E’ il 1296 quando Edoardo I d’Inghilterra invade la Scozia dando il via a decenni di instabilità dei rapporti tra queste due nazioni. Lo stesso Re, all’inizio degli anni ’90 del ‘200 era stato investito dell’onere di decidere, in quella che venne denominata la “Grande Causa”, del destino del trono di Scozia. Margherita era morta senza lasciare eredi ed il Re d’Inghilterra investì John Balliol del titolo di Re di Scozia.

Come detto però, il regno di Re Giovanni durò pochissimo in quanto nel ’96 Edoardo estese il suo dominio in terra scozzese conquistando vari punti strategici come Edimburgo e Stirling.

La rivalsa scozzese non si fece attendere e l’anno seguente inizia quell’epopea che va sotto il nome di “guerre d’indipendeza”.

E’ il mese di settembre del 1297 quando un esercito guidato dal leggendario  William Wallace e da Andrew Murray, composto da 5/6000 uomini, trova lo scontro con un esercito Inglese tre volte superiore per numero.

L’importanza strategica di questi luoghi convince gli scozzesi ad attaccare proprio a Stirling i nemici. Le forze di Wallace riuscirono a prendere le posizioni migliori presentandosi prima degli inglesi sul campo di battaglia.

Quando l’esercito di Edoardo guidato dal Conte di Surrey provarono ad attraversare il ponte, i lanceri scozzesi riuscirono con ardimento ad annullare le successive ondate nemiche.

L’intervento della cavalleria inglese non migliorò la situazione, anzi generò solo ulteriore instabilità ed intasamento degli angusti spazi di manovra.

Le sorti della battaglia erano ormai segnate. Surrey ordinò la distruzione del ponte sul fiume Forth condannando gli uomini che già erano riusciti a stento ad attraversarlo.

La clamorosa vittoria contro un esercito più numeroso e meglio equipaggiato galvanizzò fortemente gli scozzesi che però l’anno seguente vennero pesantemente sconfitti a Falkirk.

La lotta per l’indipendenza scozzese però non era conclusa. Nel  1306 registriamo la salita al trono di Scozia di Re Robert “the Bruce” che nel 1314, proprio in un sobborgo di Stirling, Bannockburn, in quella che è ricordata come la battaglia più grande della storia scozzese, sconfisse in modo perentorio le armate inglese di Edoardo II.

Stirling in definitiva è una piccola cittadina della Scozia centrale, la sua storia però racconta l’anima di questa terra.

viaggio in Italia

La Zisa e quell’incontro di culture

La Zisa è un edifico dalle forme apparentemente semplici solo lievemente rivitalizzate dalle imponenti aperture frontali e dalle piccole torri laterali sui lati corti dell’edificio.

La sua storia ci narra dell’incontro di due civiltà totalmente diverse, quella araba e quella normanna, che in Sicilia trovarono una strana forma di convivenza.

I normanni gettarono un occhio astuto sulle ricche terre del sud Italia nell’XI sec. quando da mercenari offrirono i propri servigi ai potentati locali.

Successivamente vedranno leggittimate le loro razzie da titoli nobiliari concessi dal romano pontefice. La presa della Sicilia musulmana però, fu impresa un po’ più complessa e si potè dire completata solo nel 1091 con la conquista di Palermo.

I normanni, astutamente, capirono però che conveniva coesistere con la popolazione musulmana nell’isola. Pensate che le prima emissioni monetali normanne riportano addirittura versetti del corano e professioni di fede.

Sono poi tanti i monumenti che ci parlano di impiego di maestranze musulmane all’interno di edifici pubblici fondamentali per l’epoca, come chiese, residenze e castelli.

E’ curioso vedere come questa integrazione piano piano cresca insieme alle dimensioni degli edifici. Da una prima fase quasi “protonormanna” presente nella Sicilia orientale con le chiese di Mili San Pietro, Itala e Casalvecchio Siculo fino ad arrivare ai trionfi delle architetture di Cefalù, Monreale e quelle di Palermo.

La Zisa, che in arabo significa la splendente, fa parte di un circuito di monumenti inseriti nel 2015 nel patrimonio dell’umanità Unesco comprendente anche, Palazzo Reale e Cappella Palatina, Chiesa di San Giovanni degli Eremiti, Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, Chiesa di San Cataldo, Cattedrale metropolitana, Ponte dell’Ammiraglio, più le Cattedrali di Monreale e di Cefalù.

La Zisa, fu voluta da Guglielmo I detto “il malo” nel 1165 e completata dal figlio, Guglielmo II “il buono” nel 1190. Fu pensata come una residenza immersa in un giardino delle delizie poco al di la delle mura della città in una posizione che noi abbiamo la possibilità solo di immaginare.

La Zisa era uno splendido edificio immerso nel verde dal quale era possibile guardare il mare, visuale oggi occlusa dalle costruzioni prospicenti che ci lasciano solo immaginare il fascino dei giochi d’acqua delle fontane durante i tramonti estivi nella Conca d’oro.

Il palazzo, oggi ampiamente ristrutturato, ospita una piccola collezione di arte araba e sa veramente stupire con i suoi ambienti dove nel soffitto trionfano i decori a muqarnas ed è possibile individuare ingegnosi sistemi di canalizzazione dell’aria.

Due gli ambienti che rapiscono con il loro fascino. Al secondo piano un immenso salone, un tempo scoperto, nel quale insisteva un impluvium poi modificato e chiuso nel XVII sec e soprattutto al piano terreno la sala di rappresentanza o sala della fontana.

Qui, all’ombra di una monumentale apertura ogivata sembra ancora di sentire lo sciabordio dell’acqua sui marmi che con gli schizzi rendeva ancora più vividi i numerosissimi mosaici presenti.

La splendente, è un palazzo che ci fa riflettere sui trionfi possibili quando le culture dialogano.

Le mie interviste

La mia intervista con il sindaco Repaci su Forte Batteria Siacci

A Campo Calabro ho avuto il piacere di incontare il sindaco Alessandro Repaci e scambiare con lui qualche battuta su Forte Batteria Siacci, sul sitema dei forti umbertini di Campo e sulla prospettiva di sviluppo di questi importantissimi beni culturali.

Ho deciso di riportarvi integralmente le risposte perchè ritengo che da queste righe emerga la visione complessiva su Siacci, condita da numeri, che si offre alla vostra valutazione.

Sindaco il giorno dell’apertura di forte Siacci si è definito più fortunato dei suoi predecessori, perchè?

Fortunato perché ritengo che in tutte le vicende, anche amministrative, vada colta una “congiunzione astrale”. Le amministrazioni che mi hanno preceduto si sono occupate, con alterne vicende e con alterne fortune, del recupero e della valorizzazione dei forti.

Da sempre questo sistema fortificato ha esercitato un’attrattiva ed è stata un’aspirazione per gli amministratori da quando i forti sono stati dismessi. Ma non sempre le amministrazioni sono state fortunate. Non sempre i provvedimenti amministrativi, le disponibilità degli enti che ce li avevano in custodia o che avevano responsabilità vincolistiche sono state favorevoli.

Noi abbiamo un sistema di fortezze che è costituito da tre forti. Diciamo che gli amministratori negli ultimi trentanni, da quando i forti sono stati dismessi, hanno sempre coltivato l’aspirazione di utilizzarli come volano di sviluppo anche quando, al tempo non erano ancora, a differenza di oggi, tutelati come beni culturali.

Solo il Comune di Campo Calabro li ha sempre pensati come sistema unitario, ma a questa concezione generale dell’amministrazione comunale, ma anche della gente, non corrispondeva un’analoga considerazione da parte dello Stato. Erano semplicemente pezzi di muri, noiosi e fastidiosi che bisognava manutenere e quindi rappresentavano un peso.

Quindi c’era il Comune, che li considerava una risorsa seppur in un progetto abbastanza vago di valorizzazione, dall’altra lo Stato che li considerava pezzi di muri fastidiosi. Queste due visioni profondamente diverse non si sono mai incontrate. Quindi è stato il Comune con l’operazione di Poggio Pignatelli nel 2014, che ha per primo detto: vogliamo questo bene a titolo gratuito e ci impegniamo a valorizzarlo. Quindi è stata, come in una campagna militare, che noi abbiamo,e stiamo, espugnando i forti uno ad uno.

Abbiamo espugnato Pignatelli sul quale sono stati spesi circa 800000 euro per una sufficiente rifunzionalizzazione degli ambienti. Stiamo cercando di capire come possiamo spingere fino in fondo, l’ulteriore impegno, che è quello della realizzazione della strada d’ingresso.

Quest’ultima ha avuto delle vicende tormentate ma siamo in grado di dire che entro la fine dell’anno a Poggio Pignatelli saranno spesi altri 700000 euro, come previsti dai Patti per il Sud e questo per completerà l’opera di rifunzionalizzazione su Pignatelli.

Poi abbiamo espugnato Siacci con un blitzkrieg, un’operazione velocissima.

In 26 mesi questo posto, che era inaccessibile, coperto dai rovi ad oggi (28 settembre) dal 18 di giugno ha registrato 1100 visitatori. Abbiamo realizzato dei percorsi che possono essere visitati in condizione di sicurezza. Abbiamo alcuni dipendenti comunali ed un gruppo di volontari che stanno lavorando per tenere aperto il forte. Abbiamo una mostra che verrà soprattutto utilizzata per le scuole, ed abbiamo avviato una campagna di comunicazione.

In ultimo, sull’ex deposito munizione Matiniti Inferiore, in ragione di quella visione statale di vedere quest’ immobili senza un’idea unitaria neppure catastalmente. Loro non capivano (lo Stato centrale ndr), che questi fogli erano realizzati secondo un disegno strategico steso nel 1800 e ciascuno li considerava dei pezzi.

Matiniti Inferiore fu imprudentemente cartolarizzato dal governo Berlusconi ed è finito nelle fauci di una immobiliare, sia pur partecipata dallo Stato, che si chiama Cassa depositi e prestiti immobiliare. La quale, ha avuto il coraggio civile di metterlo in vendita. Fino a quando il comune, con una lettera, non ha fatto scattare il vincolo sul bene ed ha rappresentato in maniera garbata ma ferma che questo bene appartiene all’eredità storica, culturale ed identitaria del Comune di Campo Calabro e che noi non ce lo lasceremo sfuggire e su di esso abbiamo messo un’ipoteca culturale e storica che faremo valere in ogni momento e a qualsiasi costo.

Ad oggi cosa dobbiamo intendere con il termine valorizzazione per il forte? Anche in termini comunicativi, visto che spesso si avvian campagne di comunicazione che partono e nel breve termine si interrompono facendo percepire ai potenziali fruitori che le attività di gestione si sono interrotte. Ad oggi qual è la vostra idea di valorizzazione per i forti?

Oggi non parliamo più di idee ma di atto amministrativo. Affinché Mibac desse parere positivo all’acquisto del bene, ci siamo dovuti impegnare formalmente in un programma di valorizzazione. Un programma molto corposo, che è stato approvato dal consiglio comunale e comprende una serie di

azioni in un cronoprogramma preciso. Questo programma è l’appendice all’accordo di valorizzazione che noi abbiamo sottoscritto. Lo Stato non da questi beni a scatola chiusa, ma si accerta che l’ente che li vuole acquisire sia in condizioni, strutturali e finanziarie, adatte a reggere questa sfida. Per questo richiede una serie di garanzie che sono rappresentate per tabulas in questo documento.

Il programma di valorizzazione di Forte Siacci parte dalla sua importanza all’interno delle fortificazioni umbertine, dal suo punto geografico che offre panorami mozzafiato e dalle sue caratteristiche costruttive che sono già meritevoli di una visita. Se si accede al forte e si seguono i due percorsi, ce ne sarebbero altri otto in teoria, si impegnano quaranta minuti.

Stiamo parlando non più di un turista ma di un viaggiatore. Di una persona che entra non solo in un luogo, ma nella sua dimensione storica e culturale. Noi vorremmo che si potessero sviluppare all’interno del forte almeno tre attività. Gli ambienti verranno rifunzionalizzati e dedicati in parte ad un polo museale permanente, per il quale siamo già in contatto con collezionisti non solo calabresi. Puntiamo alla realizzazione di un’esposizione museale a carattere militare di cui una sezione, piccola, sia dedicata a forte batteria Siacci.

In una seconda parte, una serie di ambienti collegati, dedicata alla presentazione di eventi.

Una terza parte invece sarà rifunzionalizzata nel rispetto della sua funzione originaria. Tutte le stanze degli ufficiali verranno trasformate in un ostello.

Quindi si utilizzerà questo layout dell’ospitalità sostenibile e giovanile europea per consentire la permanenza all’interno della struttura.

Poi abbiamo una serie di idee che riguardano gli ampi spazi esterni, che hanno la caratteristica di essere sgombri da ogni manufatto, grazie ai vincoli militari.

La creazione di una struttura che accoglie i visitatori, ne fa soggiornare una parte, rappresenta l’idea culturale di un percorso della memoria attraverso le esposizioni museali, mette a disposizione della cultura e dell’imprenditoria degli spazi di prestigio per eventi. Tenga conto che sarà possibile celebrare matrimoni civili perché una parte del forte verrà dichiarato ufficio dello stato civile. Questo fa scoccare la scintilla della creazione di una microeconomia inevitabile.

Nello stesso tempo fa entrare questo bene in un circuito che ha la necessità di servizi aggiuntivi, bar, area di merchandising,biglietteria.

Un grande bene culturale, che è gestito secondo criteri moderni ,nel rispetto della sua vocazione storica, e soprattutto gestito all’interno di un disegno che vuole portare all’interno del tessuto economico del territorio ricchezze, mettendo in competizione Siacci con le grandi strutture militari e difensive europee.

Ovviamente da soli non riusciamo a fare niente, abbiamo bisogno che la Città Metropolitana, smetta di considerare la provinciale Campo Calabro / Matiniti come via accessoria e la consideri come via principale di accesso al sistema delle fortezze. Abbiamo bisogno che il comune di Campo, nella parte amministrativa, della quale io ho la responsabilità, presti maggiore attenzione a quella frazione.

L’ acquisizione a titolo non oneroso di questo bene scatena una serie di azioni positive. La verità è che queste azioni vanno governate dal punto di vista della successione cronologica e dal punto di vista dell’estrema attenzione dei soggetti con i quali ci mettiamo in relazione per questa cosa.

Aggiungo che non è irrilevante all’interno del programma di valorizzazione il modello di gestione. Lo abbiamo presentato alla luce di quelle che sono state le precedenti esperienze non solo in Calabria ma anche a Campo Calabro.

Non siamo soddisfatti del modello di gestione che è stato indicato nel programma di valorizzazione e poi realizzato a Poggio Pignatelli.

Beni di questo genere e di queste dimensioni non possono essere dati in concessione a privati. La gestione di un bene così importante ha dei costi che difficilmente un’associazione, o comunque un privato, può sostenere. Se si fulmina una lampadina o un faro il comune in 24 ore la ripara, Il privato, l’associazione sia pure generosa, prima deve trovare i soldi. Noi partiamo dal concetto che ci accontentiamo di andare in pari su questi beni e di non perderci. Non ci vogliamo guadagnare. Chi ci vuole guadagnare, la prima cosa che fa è tagliare sulla manutenzione, ma tagliare sulla manutenzione della pulizia del fossato significa portare il bene al degrado nello spazio di qualche anno. Il comune non da in concessione l’immobile, può eventualmente affidare in gestione a partner affidabili i servizi aggiuntivi. Il governo della struttura e dei suoi programmi rimangono in capo all’ente.

Si potrebbe obiettare che però il privato può essere molto più celere, rispetto ai tempi di un’amministrazione, in determinati interventi.

Io sfido i sostenitori del modello privatistico di gestione ad indicarmi un solo modello di successo che riguarda un bene culturale gestito da privati. Io non ne ho visti in Calabria ed in Italia Meridionale.

Qual è il profitto che una comunità come la nostra potrebbe avere dalla concessione a privati di una struttura simile?

Che cosa è entrato, senza voler fare polemiche con chi che sia, dentro il circuito dell’economia campese dalla gestione di Poggio Pignatelli dal 2014 al 2019. Sfido chiunque a trovare un solo euro che sia entrato nel bilancio del Comune, un solo euro nelle casse dei negozianti di Campo Calabro, un solo euro che sia andato ai giovani di Campo. Parlo di euro guadagnati legittimamente, certificati e tracciati, non dei venti euro passati in nero a Tizio o a Caio perché pulisca un pezzo di terreno contiguo.

La prova è l’avviso per la selezione di un’associazione senza scopo di lucro per le attività di accoglienza fatta dal Mibac per la gestione della fortezza Le Castella di Isola Capo Rizzuto.

Il modello di gestione Mibac, con una serie di linee guida, dice chiaramente che la gestione del bene rimane al Comune che lo governa. Possono essere affidati a gruppi o anche a privati i servizi aggiuntivi. Non la strategia complessiva sul bene. Io non posso spendere come Comune, due milioni di euro, completare l’iter dei lavori e poi consegnarlo chiavi in mano ad un privato. Il quale alla prima difficoltà economica, non paga le bollette, ed io devo pagare gli avvocati per cacciarlo perché ha violato il contratto.

La gestione privatistica è fallita. Questo onere tocca al Comune. Ma a quest’ultimo non tocca l’onere di vendere i biglietti. Il Comune deve governare complessivamente, deve avere l’idea di cosa succede. Scegliere fra un amico di un amministratore che vende olio a Cardeto e al quale viene concessa con una carta improbabile una stanza per vendere olio e la presentazione dell’ultimo modello del Fiat. Il Comune deve essere in grado di dire: preferisco questo rispetto a quello.

Il Comune non è un ente che fa lavori pubblici, è un ente che governa il territorio e deve governare sui beni storici.

Chiaro è che l’esperienza ci dice che il sistema migliore di gestione per beni del genere sia quello di collaborazione tra amministrazione illuminata e privato all’altezza. I modelli per funzionare necessitano di persone capaci che li rendano funzionati.

Ma quali sono le prospettive di integrazione con le altre fortezze, sia quelle calabresi che quelle siciliane?

Anche qua credo che molto, non tutto, sia legato al modello di gestione. Faccio un esempio. L’Agenzia del Demanio, non ha mai concesso a titolo non oneroso un bene nella parte siciliana ai Comuni. Il Demanio se li tiene stretti e li affitta a canoni agevolati e già questa è una strategia diversa dalla nostra. Se questo comune parla di Forte Siacci e di Pignatelli parla di beni che sono i suoi e può decidere in relazione a quello che la legge gli permette. Lo stesso non si può dire per forte Masotto (sponda sicula ndr). Noi siamo in contatto con Enzo Caruso, assessore al Comune di Messina. C’è una vecchia idea di metterli in rete. Il problema è che anche qua manca una visione unitaria e sovraregionale. Un ottimo strumento considero la Conferenza permanente interregionale per il coordinamento delle politiche dell’Area dello Stretto. Un organismo sovraregionale che governi in termini culturali questa operazione. Che si faccia carico della messa in rete dei forti e nello stesso tempo dello sviluppo e dell’incentivazione di un circuito turistico che porti il messinese a vedere forte Masotto e poi a passare in Calabri. Avere un pullman che lo aspetti e lo porti a vedere il gemello dall’altra parte. Con a Forte Masotto il museo delle tecnologie militari mentre a forte Pignatelli il museo delle telecomunicazioni e ad Arghillà il museo delle uniformi. Manca questa strategia unitaria perché manca un organismo che la governi.

Che cosa significherebbe una campagna di comunicazione di alcune centinaia di migliaia di euro, fatta sulle fortificazioni dell’area dello Stretto piuttosto che i 20000 euro che il Comune ha impegnato su Siacci. Quali vantaggi porterebbe una sinergia? Rispetto a questo c’è un’esperienza interessante che è quella della Carta di Corfù che noi abbiamo sottoscritto come Comune di Campo Calabro. E’ una rete che faticosamente si sta cercando di mettere in piedi tra tutte le città del Mediterraneo che hanno un patrimonio fortificato. Il segreto è quello del coordinamento della strategia.

In conclusione, dal suo osservatorio, quali devono essere le prossime tappe che amministrazione e comunità devono realizzare per far divenire questo patrimonio reale volano economico?

Quando mi è stato chiesto di scrivere qualche rigo per la pagina di apertura, ho scritto che il sito non era solo dedicato al forte, al suo fascino ed alla sua bellezza, ma che ha anche tra i suoi principali compiti di raccontare quella che noi consideriamo una straordinaria impresa economica, amministrativa ed umana, non del Comune ma dell’intera comunità di Campo Calabro.

Perché per una piccola comunità come la nostra entrare in possesso di beni di tali dimensioni è una grande responsabilità e comporta l’utilizzo di competenze, di risorse umane ed economiche nelle quali è coinvolta l’intera comunità. Ecco dov’è fallita la strategia su Pignatelli. Benché generosamente sostenuto dall’azione di alcuni dei concessionari non è mai riuscito ad essere assorbito all’interno dell’identità culturale e non è mai stato considerato una risorsa identitaria dal Comune di Campo Calabro. La prima cosa che noi abbiamo fatto su Siacci è stata quella di consentire alla popolazione, partendo dagli abitanti della frazione limitrofa, di riappropriarsi di un bene che per anni gli era stato sottratto.

La più grande operazione, che io ritengo questa amministrazione abbia promosso in questa temperie, è quella di stringere una alleanza forte con la comunità circostante e di dire questo bene è il vostro, il portone lo apriamo assieme.

Quando il 18 giugno io ho aperto il portone subito dopo di me e prima delle altre autorità, sono entrati gli abitanti della frazione Matiniti che avevano ricevuto una lettera personale del sindaco che li invitava ad entrare per la prima volta in un pezzo della loro storia.

Se tu non senti il bene come tuo, appartenente alla tua identità culturale è come se lo avessero paracadutato e caduto la per caso. Pensi, il punto ristoro all’interno del forte è gestito da una associazione senza scopo di lucro che è composta per la maggior parte da abitanti della frazione Matiniti. I campi circostanti nell’ottica della condivisione dei beni comuni saranno gestiti sotto la forma amministrativa degli orti urbani dagli abitanti della frazione Matiniti. Sarà un’operazione che permetterà di tenere tutta la comunità dentro questo grande disegno. Un disegno che ha delle tappe amministrative.

Tra qualche settimana, noi sottoscriveremo la convenzione per l’utilizzo del primo milione di euro che ci è stato concesso da Regione Calabria. Con questa cifra ci ripromettiamo di fare una progettazione generale di tutti gli interventi da farsi a forte Siacci, Questo comporterà l’impegno di una cifra abbastanza importante.

Con il resto della cifra, mi dicono i tecnici, circa 600000 euro, riusciremo a rifunzionalizzare il livello zero, a mettere in sicurezza alcuni percorsi ed a rendere fruibili per eventi una serie di ambienti, l’allestimento del polo mostre e del polo museale e a predisporre per la sua definitiva destinazione alberghiera l’ala est del piano zero.

Per gli altri due piani, l’interrato e quello superiore, vanno previsti altri interventi che avranno almeno necessità di un altro milione e seicentomila euro. In questo tempo abbiamo fatto la scelta coraggiosa di tenerlo aperto. Abbiamo accettato una sfida. Queste operazioni possono essere viste sotto due prospettive. Quella dell’ordinario lavoro pubblico: firmi la convenzione, aspetti, fai i lavori, li consegni e fai tutto ciò che si può fare a lavori consegnati. L’altra prospettiva è chiamare tutta la comunità a reggere l’impegno di far entrare questo bene dentro la propria identità culturale e per questo il bene deve essere aperto, visibile e fruibile.