viaggio in Italia

Tindari ed i suoi tesori nascosti

Spesso parlando di Tindari si limita la conversazione all’importantissimo santuario mariano, ma la storia di questo luogo, e le tracce dell’antica città, sanno stupire forse più del meraviglioso affaccio sul tirreno dal quale è possibile godere di un curioso ricciolo di sabbia che si protende verso il mare.

Le tracce di Tyndaris iniziano ad incuriosire il visitatore già dall’arrivo al borgo dove, un po’ sparse sulla statale, è possibile scorgere i resti delle mura dell’antica città.

L’ingresso al parco archeologico vero e proprio lo si incontra procedendo poco oltre la piazza belvedere prospicente al santuario. In biglietteria è possibile acquistare anche un ticket unico con il quale visitare il parco archeologico e la poco distante villa romana di Patti (piccola nota: se avete bisogno di guide cartacee o di altro oggetto che facilita la visita provvedete prima, perchè al momento il sito non dispone di un bookshop).

L’antica Tyndaris venne fondata dal tiranno siracusano Dionisio I all’inizio del IV sec. a. C. con l’obiettivo di insediarci alcuni suoi mercenari Messeni e garantirsi così il controllo su un territorio molto vasto compreso nell’attuale golfo di Patti.

La città costruita in altura su un pianoro leggermente declinate verso il mare prende il nome da Tindaro, re di Sparta, e padre naturale e putativo dei due Dioscuri (a Polluce viene sempre attribuita la paternità di Zeus mentre Castore in alcune versioni viene considerato figlio naturale del re di Sparta e di Leda) ed ebbe una importantissima continuità di utilizzo anche con l’arrivo dei romani sull’isola.

Tyndaris da base dei Cartaginesi si consegnò alla repubblica romana volontariamente e questo le permise di divenire Civitas Decumana conservando una certa autonomia.

Nella fase ultima della repubblica Tindari, come del resto l’intera Sicilia, era in mano di Sesto Pompeo, che la utilizzò come sua base per le operazioni che lo vedevano contrapposto alle forze di Ottaviano che si avviava a divenire Augusto.

La visita al parco archeologico oggi è anticipata dall’ingresso al piccolo antiquarium nel quale, oltre ad altri interessantissimi reperti ( per me, reggino, è stato emozionante trovare una monenta di Reggio del III sec. a.C) viene conservata proprio una testa monumentale di Augusto. Proprio quest’ultimo nella riorganizzazione dei territori caduti sotto al suo controllo ribattezzo la città come Colonia Augusta Tyndaritanorum.

Oggi il sito premette di leggere l’antica città con i suoi assi viari perfettamente allineati con un decumano centrale e perpendicolarmente i cardi a formare degli isolati perfettamente ad angolo retto.

Incrocio tra il decumano principale ed un cardo che scende verso la parte bassa della città

L’intera area archeologica non è stata tutta attenzionata da scavi ma quelli realizzati hanno permesso di mettere in luce, oltre agli assi viari di cui si diceva, anche importanti edifici pubblici come il basamento di un’area sacra prospicente al decumano principale, la basilica nelle vicinanze di uno degli ingressi della città ed il panoramicissimo teatro.

Degno di nota è l‘insula quattro (un intero isolato restituito alla luce del sole ed agli occhi dei moderni) che su tre terrazzamenti si sviluppa dal decumano principale verso la basilica con botteghe, magazzini, due domus e le terme pubbliche.

Molto suggestivi i mosaici presenti nell’edificio termale che già stupiscono nei due apodyterium (spogliatori) presentando una Triskeles ed in quello di desta un toro e due Pilei con astri, tipici simboli dei Dioscuri, per poi continuare con scene di lotta, Bacco e ambientazioni marine.

Altri suggestivi mosaici, questa volta a figure geometriche, sono presenti in una domus che si affaccia sul decumano principale all’altezza dell’area sacra in prossimità di un altro ingresso in città monumentalizzato con propileo.

Di questa antica città manca al momento l’individuazione di una estesa presenza di edifici templari e non sono pochi gli studiosi che ipotizzano che la verà agorà della città si trovasse nell’altura che oggi ospita il santuario mariano. Ancora una volta il moderno raccoglie a piene mani in tema di divinità dall’antico.

Che dire? Non vi resta che andare a godervi questo importante centro siciliano e se vi posso dare un consiglio vi suggerirei alla fine della visita del parco di gustare una granita ai gelsi rossi… Io l’ho fatto e dopo per magia ho iniziato a parlare siciliano.

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Viaggio in Calabria

Al Museo di Reggio la mostra su Paolo Orsi

Le due poleis di Reggio e di Siracusa in antico hanno spesso incrociato i fili delle proprie storie e talvolta anche in modo burrascoso. Basti pensare all’assedio di undici mesi del tiranno siracusano Dionisio I o alla rifondazione di Reggio con il nome di Febea ad opera del figlio Dionisio II.

Oggi però i due centri, ed in particolar modo le istituzioni museali, il MArRC per la sponda calabra ed il Paolo Orsi di Siracusa, dialogano per porre in essere una mostra che accende dei meritatissimi riflettori su una figura fondamentale per la conoscenza del passato in Magna Grecia ed in Trinacria.

La mostra “Paolo Orsi, alle origini dell’ archeologia in Calabria e Sicilia” è una narrazione dell’incredibile vita del roveretano, curata dai due direttori Carmelo Malacrino e Maria Musumeci, che prende le mosse da una presentazione di questa incredibile figura di studioso per poi accompagnare il visitatore in altre quattro sezioni a tema:

  • Alla ricerca delle origini, la preistoria e la protostoria
  • Dall’eta arcaica all’ellenismo, l’archeologia delle città greche
  • La grandezza dell’Impero, la Calabria e la Sicilia in età romana
  • La luce sul medioevo, bizantini, arabi e normanni

Il percorso espositivo che prende le mosse da due capolavori assoluti ritrovati da Paolo Orsi, la Gorgone in corsa ed il celebre Cavaliere di Marafioti, permette il racconto delle varie attività poste in essere dallo studioso, dalla ricerca attenta sulle fonti per poi passare alla “verifica” sul campo, all’analisi stratigrafica dei siti, ma anche il costante impegno nella tutela dei reperti e all’affermazione del principio di legalità contrastando i commercianti di opere antiche e permettendo l’acquisto di numerosi reperti al patrimonio dello Stato.

La mostra racconta anche la storia umana di Paolo Orsi che nato in territorio non ancora italiano a Rovereto (il Trentino nel 1859 era ancora austriaco) arrivò in terra siciliana nel 1888 dopo aver vinto un concorso ad Ispettore di 3′ classe degli scavi, musei e gallerie del Regno. Da li partirà una vera e propria rivoluzione negli studi dell’antichità tra Sicilia e Magna Grecia che a fatica viene contenuta in questa riproduzione grafica che elenca i luoghi del grande archeologo.

Tanti i pezzi estremamente interessanti provenienti dal museo di Siracusa, oltre alla già citata Gorgone, numerosi i reperti individuati in sepolture o nelle città greche siciliane.

Altro punto di forza della mostra sono i reperti che provengono direttamente dai ricchissimi depositi del museo reggino (restaurati adesso fanno bella mostra di se), come i marmi di epoca romana e soprattutto i reperti di XII sec. d.C. provenienti da Santa Maria di Terreti.

Proprio nell’ultima sala espositiva dedicata al c.d. Medioevo, che permette uno dei rarissimi casi di presa di coscienza diretta con un periodo storico spesso trascurato ma che fu fondamentale per Reggio e la Calabria, un altro passaggio sull’Orsi uomo nella fase finale del suo rapporto con queste terre che viene reso dal racconto di Paolo Enrico Arias (altra figura di primo piano per gli studi antichistici):

“(…)Egli partì definitivamente da Siracusa nel mese di maggio del 1935(…)Eravamo alla stazione marittima della città(…); lo aspettavamo sotto la pensilina davanti al vagone-letto per Roma che egli guardòcon un’espressione di profonda antipatia e mestizia. Avanzava a passi lenti, con il bastone e le pantofole grandi in cui i piedi che avevano tanto camminato su e giù per il Trentino e per la Sicilia e la Calabria non riuscivano quasi a stare più. Lo reggeva l’inseparabile restauratore Giuseppe D’Amico, compagno delle sue esplorazioni dovunque(…) Il grande vecchio si fermò a contemplare tutti noi;(…) durante tutto il viaggio era rimasto vicino al finestrino a mormorare i nomi a lui ben noti di tutti i paesini che si vedevano dal treno (…) E ripeteva: non li vedò più.

La mostra rimarrà attiva al museo reggino fino all’otto di settembre, mantenendo saldo nel nome di Paolo Orsi, il legame tra Sicilia e Magna Grecia per tutta la stagione estiva. Con buona pace di Dionisio I, oggi queste due città riprendono un dialogo “mediterraneo” che non può che far bene ad entrambe.

Le mie interviste

Ad Archeoderi con Marilena Avenoso tra criticità e prospettive

Criticità e prospettive del Parco Archeoderi di Bova Marina sono stati i temi della conversazione con Marilena Avenoso, giovane operatrice culturale, specializzata in organizzazione e gestione del patrimonio culturale ed ambientale.

Marilena riesci a spiegarci cosa significa per te il Parco Archeologico Archeoderi?

Per me Archeoderi significa “Rinascita”. Quando nell’ormai lontano 2015 mi accingevo a scrivere la mia tesi di laurea magistrale, ho puntato e scommesso il tutto e per tutto sul Parco Archeologico, il cui potenziale, a mio avviso, è veramente immenso. Purtroppo però, e mi duole dirlo, il suddetto Parco è uno dei tanti “gioielli culturali” dimenticati e abbandonati. Per molto tempo il Parco in questione è stato gestito in maniera inadeguata, tanto che neanche le persone che vivevano nelle sue vicinanze conoscevano le meraviglie storico-artistiche che venivano custodire al suo interno.
Ecco perché per me Archeoderi significa “rinascita”. È solo grazie alla conoscenza di ciò che siamo stati che si potrà divenire portavoce delle nostre tradizioni,origini e culture, diventando noi stessi fautori della conoscenza del nostro patrimonio culturale

Qual è la visione di promozione e rilancio che già avevi inserito nella tua tesi di laurea? la reputi ancora attuale?

La mia visione di promozione e rilancio riguardava la social innovation applicata all’ambito dei beni culturali. In tempi recenti, e gli esempi da fare sarebbero davvero tanti, si assiste sempre più ad una sorta di spinta propulsiva da parte dei cittadini che creano “rete” per “riappropriarsi” del proprio patrimonio culturale e della propria identità storica. Il punto di forza della social innovation, a mio avviso, sta proprio nella creazioni di modelli di “gestione dal basso” che mirano a colmare il gap che risponde alla domanda:”chi si occupa del patrimonio culturale dimenticato e abbandonato?”.
Tale modello si muove infatti su due binari paralleli: da un lato il coinvolgimento attivo dei cittadini con l’esposizione di idee “nuove” per riprendere in mano la larga fetta di patrimonio culturale dimenticato e abbandonato; dall’altro lato cerca di “snellire” l’intervento pubblico, il quale, con le varie pastoie burocratiche, di certo non facilita l’immediatezza d’azione per quanto riguarda la tutela, la valorizzazione e la gestione del patrimonio culturale abbandonato.
Questo modello di gestione dal basso a mio avvivo è il cavallo vincente su cui puntare per riuscire in breve tempo e al minor costo possibile di far rinascere i nostri gioielli culturali dimenticati.

Secondo te qual è il freno di questo parco? Perché non riscuote il successo che merita? Parliamo pur sempre della seconda Sinagoga più antica d’Europa dopo quella di Ostia

Il freno di questo parco a mio avviso è la poca collaborazione tra pubblico e privato. Chi gestisce il Parco deve assolutamente, e con urgenza, provvedere a stilare un efficiente ed efficace piano di marketing territoriale e di promozione, facendo in modo che il Parco diventi la punta di diamante del nostro territorio.
Devo dire però che qualcosa in questo campo si è mossa, dal momento che nell’ottobre del 2017 l’aula della preghiera della sinagoga ebraica del parco archeologico Archeoderi, che come dicevi tu è la più antica in Europa dopo quella di Ostia, e aggiungo l’unica al momento presente nel meridione, ha sentito riecheggiare le preghiere dello shabbat di una cospicua comunità ebraica, con persone provenienti da tutta Italia e non solo.
È vero però che questo è stato un episodio sporadico, ma è anche vero che per ottenere grandi successi bisogna partire da piccoli passi.Come dice la dedica della mia tesi: “se vogliamo che le cose migliorino dobbiamo pensare che possano migliorare. La scelta è tra un mondo di possibilità e un mondo di fallimenti. Come dice la dedica della mia tesi: “se vogliamo che le cose migliorino dobbiamo pensare che possano migliorare. La scelta è tra un mondo di possibilità e un mondo di fallimenti”.

Pillole di storia, Senza categoria

Al Museo di Reggio Calabria anche Iside e Serapide

Spesso ci diciamo che il Museo di Reggio non è solo Bronzi di Riace (e fortunatamente è proprio così) e forse troppo spesso affascinati da reperti esteticamente più facilmente leggibili tralasciamo una parte del percorso espositivo del livello D del MArRC, quello riservato alle epigrafi che custodiscono, se osservate con la giusta curiosità, pagine di storia cittadina e mediterranea di rilevante importanza.

Proprio vicino ad epigrafi sepocrali di un comandante della flotta romana e a quella di un liberto (schiavo liberato) legato alla famiglia imperiale, probabilmente in città al seguito di Giulia figlia di Augusto, troviamo un blocco tozzo a forma di parallelepipedo che riporta la seguente iscrizione:

ISI ET SERAPI SACRUM Q(uintus) FABIUS TITIANI LIB(ertus) INGENUUS SEVIR AUGUSTALIS FAB(ia) CANDIDA SACRORUM S(ua) P(ecunia).

CONSACRATO A ISIDE E SERAPIDE DA QUINTO FABIO INGENUO LIBERTO DI TIZIANO, SEVIRO AUGUSTALE E DA FABIA CANDIDA DEVOTA (o consacrata) AD ISIDE. A PROPRIE SPESE

(interpretazione e traduzione sono riprese così come riportate nella didascalia museale).

Iside e Serapide al MArRC

Quest’architrave di età imperiale potrebbe sembrare uno dei tanti reperti del nostro passato, ma questo straordinario blocco ci testimonia l’apertura religiosa verso culti provenienti dall’oriente ed in questo caso dall’Egitto Tolemaico.

Iside e Serapide non sono divinità appartenenti all’originale Pantheon romano ma iniziano un lungo viaggio che dall’Egitto probabilmente tramite Alessandria fece tappa in città meridionali come Regium, nel II sec. a.C. li troviamo a Pompei e progressivamente conquistarono Roma.

Si tratta di culti popolari e popolani che il senato vietò inutilmente più volte e ne fece radere al suolo i templi nel 58, 53, 50 e 48 ma i fedeli costantemente li riedificarono.

Successivamente a Roma però a queste divinità vennero eretti templi, nel Campo Marzio a Iside sotto Caligola e più tardi nell’area del Quirinale a Serapide sotto Caracalla.

Come abbiamo visto queste divinità hanno affrontato un viaggio lungo che le ha portate da oriente al cuore dell’impero. Iside si è progressivamente trasformata da divinità egiziana a divinità ellenistica/romana. Serapide invece è una creazione dei Tolomei che fonde in un’unica divinità le caratteristiche di Osiride, Zeus e Plutone.

Ancora una volta i frammenti custoditi al Museo di Reggio pongono la città nel cuore degli scambi e delle culture mediterranee a rimarcare nuovamente una propensione mediterranea che oggi abbiamo un po’ perso e che deve necessariamente essere riscoperta.

 

Viaggio in Calabria

A Locri, la patria di Zaleuco

Difficile contenere la storia e le bellezze di una città storicamente importante come Locri in un breve articolo ma proverò a raccontarvi almeno gli albori di quella che fu la patria di Zaleuco il primo legislatore secondo Strabone. Non esiste unanimità di vedute sulla data di fondazione di Locri. La tradizione storica ci ha tramandato tre differenti momenti per tale evento: Eusebio, vescovo di Cesarea (IV sec. d.C.), ci indica l’anno 673 a.C.; Gerolamo fa risalire la fondazione al 679 a.C.; Strabone, non specificando la data, riferisce che la fondazione avvenne poco dopo quelle di Siracusa (733 a.C.) e di Crotone (709 a.C.), quindi entro la fine dell’VIII sec. a.C. o nei primissimi anni del VII sec. a.C.
Vi è invece concordia su quale sia stato il punto di sbarco dei coloni provenienti dalla regione della Locride, (quella della Grecia centrale), ossia Capo Bruzzano. Quest’ultima località fu abbandonata qualche anno dopo poiché i coloni, dopo aver regolato i conti con le popolazioni indigene, si spostarono di qualche decina di km a nord.
I locresi, dopo lo sbarco in terra calabra, strinsero accordi con le popolazioni locali e successivamente (violando tali patti), annientarono completamente l’antico abitato di Janchina.
Fin dall’antichità Locri è ricordata per l’attività legislativa di Zaleuco (VII sec. a.C.), redattore del primo codice europeo di leggi scritte, che sembra essere rimasto in vigore per oltre duecento anni.

Il dipinto di Andrea Valere che raffigura Zaleuco al consiglio regionale della Calabria

Verso la fine del VII a.C. tensioni sociali sorte all’interno della colonia, forse per l’aumento demografico, spinsero l’aristocrazia locrese a cercare nuovi spazi sul Tirreno e vennero fondate le due subcolonie di Hipponion (Vibo Valentia) e Medma (Rosarno).
Questo però chiaramente stringeva la vicina polis di Reggio in un abbraccio soffocante che diete nei secoli il la a scontri frequenti tra le due potenze in competizione tra di loro non tanto per le estensioni territoriali, quanto per il predominio sui porti strategici utilizzati dalle rotte che collegavano la madre patria con il mediterraneo occidentale. Si potrebbe citare in tal senso Anassila nel V a.C. con il suo tentativo riuscito di allargare i confini reggini fino al promontorio di Eracle, l’odierno Capo Spartivento
Ma tornando alla storia di Locri poco prima del 550 a.C. sappiamo essersi verificata la vittoria che la città riportò in alleanza proprio con i Reggini contro Crotone nella battaglia della Sagra (odierno Allaro o Torbido). A questo proposito, le fonti ricordano l’intervento miracoloso dei Dioscuri, protettori della città, che avrebbero aiutato i 10.000 Locresi ad avere il sopravvento sulle soverchianti schiere dei Crotoniati.
I tesori della storia Locrese oggi fanno le fortune di numerosi musei non solo in Italia ma il cuore pulsante di questa polis è ancor oggi visitabile nel suggestivo sito archeologico poco distante dal centro urbano moderno e nel museo in loco o in quello recentemente allestito a Palazzo Nieddu del Rio.
Sono emozioni fortissime quelle regalate dal sito delle “Cento Camere” o dal Teatro greco/romano o quelle regalate dal Casino Macrì, e poi le incredibili immagini dei Pinakes e tantissimo altro ancora.