Senza categoria, Viaggio in Calabria

Scopri il Borgo di Amendolea: Storia e Bellezze Nascoste

L’antico borgo di Amendolea è posto su di una altura a 350 Mt sul livello del mare, poco distante dall’odierno abitato e rappresenta una traccia molto significativa della storia di quel pezzo di Calabria.

Le origini del borgo si perdono nei secoli, sappiamo ad esempio che non molto lontano da li, in località Rocca del Lupo (una caratteristica penisola che divide in prossimità della confluenza, le Fiumare Amendolea e Condofuri) viene attestata la presenza umana già nel Neolitico.

Alcuni studiosi ritengono L’Amendolea l’originario confine tra le Polis di Reggio e Locri, ma non vi è unanimità di vedute sul punto in quanto secondo un’altra teoria considerata oggi preminente, tale confine passava invece nell’odierna Fiumara Palizzi.

Risulta però evidente che le caratteristiche del borgo così come pervenutoci siano da rintracciare in epoca medievale.

Anche sul nome del paese vi è incertezza, secondo alcuni deriverebbe dall’indicazione di un mandorleto in zona (e la produzione è ancora oggi presente), ma secondo altri deriverebbe dal nome del primo feudatario normanno.

Di Amendolea si legge in un antico diploma databile tra il 1082 ed il 1099 nel quale si disegna il confine tra il feudo di Amendolea e quello di Bova.

In pieno Feudalesimo il paese crebbe in importanza, nonostante la superficie abitativa fosse di ridotte dimensioni, la presenza del castello, le mura che fortificavano il borgo, lo resero sede del potere feudale, (data l’importanza del borgo, la Fiumara prende proprio da esso la sua denominazione) esteso su Roccaforte (Vunì) Gallicianò (Gallicanum) e Roghudi (Ricudum) ai quali successivamente si unì anche Condofuri.

Come si diceva data la ristrettezza di spazio, le case si sviluppavano in altezza, alcune su tre piani. Il piano terra era adibito a stalla, nel piano di mezzo si trovava la cucina e per finire all’ultimo piano era collocata la camera da letto.

Furono molti i signori che governarono sul feudo di Amendolea intrecciando la loro storia familiare con quel territorio.

Come si diceva, la prima famiglia di cui ci è data notizia fu proprio la famiglia normanna degli Amendolea, per poi passare ai Del Balzo di origine francese.

Sotto gli Aragonesi il feudo passò ai Cardona e successivamente agli Abenavoli e nel 1532 ai De Mendoza.

I Ruffo, ai quali ancora oggi viene intitolato il castello, subentrarono con Francesco duca di Bagnara, mantenendo il potere fino agli inizi dell’800.

Amendolea riesce ancora ad evocare gli echi di un passato glorioso, di pagine infinite di storia unita ad un paesaggio mozzafiato sul torrente, un gigante d’argento, e sul mar jonio, un tempo fonte di pericolo per l’ incursioni dei Saraceni, oggi invece una ricchezza paesaggistico-culturale da integrare sempre di più.

Borgo di Amendolea
Borgo di Amendolea

IL castello

Il patrimonio di bellezza di Amendolea è sicuramente notevole, solo il panorama meriterebbe una visita, ma a questo panorama unico, il borgo sa unire lo stupefacente fascino delle sue architetture.

In poco spazio, all’interno del borgo e poco fuori dall’antico recinto murario, sono presenti quattro edifici di culto (la chiesa di Santa Maria Assunta sul pianoro del borgo, poco fuori le mura troviamo la chiese di San Sebastiano che presenta ancora il campanile, quella di Santa Caterina e percorrendo un breve tratto della strada che conduce a Bova, vicino a un traliccio, è possibile scorgere la chiesa di San Nicola (dove è possibile individuare traccia di affreschi) e una cappella palatina all’interno dell’antico maniero.

Il castello sicuramente però rappresenta quasi l’impronta della storia su questo territorio.

Il borgo era interamente fortificato e presentava due porte d’accesso una in basso e una in alto ma è il castello ovviamente a rappresentare il punto forte della difesa del territorio in collegamento visivo con la fortificazioni di Bova.

Il forte consta di varie fasi edilizie, alla prima si fa risalire una prima torre il tipico donjon normanno al quale successivamente si rimise mano per modificarne la struttura. Nella seconda fase edilizia si realizzò la grande aula finestrata che caratterizza la parte interna del castello. Gli interventi proseguirono con alterne fasi fino al XVIII sec.

Molto suggestivi sono i camminamenti delle sentinelle, con le postazioni di guardia e a monte della grande aula fenestrata la torre cappella, nella quale sono facilmente individuabili lacerti di affresco e una singolare nicchia finestrata.

Come sempre però il fascino dei nostri borghi può essere solo anticipato con la scrittura, per goderne a pieno gli occhi si devono posare su quelle pietre. Buon viaggio.

In escursione ad Amendolea

Senza categoria, viaggio in Italia

Scoprire l’Etna: un viaggio a piedi

Dopo un lunga pausa, torno a raccontare il mio viaggio a piedi e lo faccio con una meta che giudico veramente esaltante.

Per la prima volta ho messo piede su questo vulvano e la natura di questo posto mi ha ampiamente ripagato. E’ un luogo vivo, palpitante, ne senti il respiro passo dopo passo.

Andiamo con ordine. Per approcciarsi al vulcano, occorre decidere se risalire il versante sud o il versante nord. Io consiglio il versante nord, più tranquillo e meno battuto. Un buon punto d’appoggio può essere la cittadina di Linguaglossa dove cosiglio il bar “Nica Nuci” per la colazione e l’aperitivo, mentre per assaggiare carni e prodotti locali “Dai Pennisi”.

Non dimenticare che la zona ha una vocazione vinicola d’eccellenza. Da Linguaglossa puoi procedere verso piano Provenzana (dista 30 minuti in macchina) e da li inizare l’escurisone che preferisci. Prima di avviarsi a piedi sull’Etna, occorre sapere che le quote oltre i 2500 mt sono possibili solo accompagnati da guide vulcanologiche e quindi i crateri sommitali sono raggiungiungibili solo con la compagnia di un esperto del settore. Questo però non pregiudica la possibilità di realizzare dei viaggi a quote più basse in luoghi splendidi, come ad esempio i crateri nati dall’eruzione del 2002, la cosiddetta eruzione perfetta o le numerose grotte presenti a pochi chilometri dal parcheggio di Piano Provenzana.

Il mio viaggio questa volta è partito dal versante sud, dal rifugio Sapienza dove con l’ausilio di speciali mezzi (già questi un’esperienza) abbiamo raggiunto la quota 2500 mt.

Da li, superando un dislivello di 400 metri, si raggiunge il cratere Barbagallo, anch’esso formatosi durante l’eruzione del 2002, da dove è possibile godere un paesaggio eccezionale sui crateri sommitali e sul cratere Laghetto e la Montagnola. Quel giorno quasi surreali con i banchi di nuvole ai piedi del rilievo.

Il Vulcano affascina profondamente con i suoi antri, le sue forze distruttrici ma anche generatrici di nuova vita, modella il paesaggio infondendo quasi un aspetto di sacralità in chi si sa accostare con rispetto a questo luogo magico.

Consiglio di contattare sempre la guida per aggiornamenti su condizioni meteo e percorribilità dei sentieri. Se si preferisce un’escurisone in autonomia, di valutare bene le condizioni meteo alla partenza. Si, siamo in Sicilia, ma saliamo oltre i 3000 metri sul livello del mare e quindi, in certi periodi dell’anno, è anche possibile trovare la neve o comunque un clima più freddo rispetto alla costa.

Ultimi due consigli che mi sento di dare, il versante nord offre la possibilità di visitare numerose cantine, si è nel cuore dell’Etna Doc e Castiglione di Sicilia è un luogo molto pittoresco e il caffè President, nel cuore del borgo, ha i titolari simpaticissimi che preparano (il marito in reatà) un dolce alle nocciole che è eccezionale.

Se si passa da Zefferana Etnea, una sosta alla dolceria Salemi è quasi doverosa per assaggiare le “Foglie da tè”, delle cialde eccezionali (disponibili alla nocciola, mandorla o pistacchio) disponibili durante tutta la settimana mentre nel WE la produzione spazia su tutta la pasticceria tipica.

Buoni passi, ma anche buona dieta.

viaggio in Italia

Le mie cinque cose imperdibili di Matera  

Esistono varie guide e suggerimenti sulle bellezze materane ma ho deciso di proporti le cinque che considero imperdibili e un po’ fuori dai soliti circuiti. 

PONTE TIBETANO E LA MURGIA 

Il ponte permette di collegare il cuore della città con l’elemento naturale che la avvolge. La discesa verso la Gravina e la risalita sulla Murgia sono molto agevoli e aperti praticamente a tutti. Questo può essere anche un aspetto negativo, visto che sul sentiero si può ritrovare varia “fauna” umana, spesso poco avvezza al rapporto con l’ambiente naturale. Consiglio di imboccare il sentiero la mattina presto, godendo così della città alle prime luci senza la calca.  Una volta attraversato il ponte, il sentiero permette di visitare alcune grotte molto suggestive dalle quali una foto sul centro città diventa quasi obbligatoria. Giunti sulla sommità ci si può limitare alla visita delle chiese rupestri vicine o se si ha voglia di qualcosa veramente particolare, suggerisco di raggiungere il villaggio trincerato di Murgia Timone e fare un salto nel Neolitico. 

VICINATO A POZZO  

Il sito si sviluppa all’interno del Sasso Caveoso e costituisce un’esperienza immersiva nella realtà materana.  Il racconto parte dall’introduzione di guide molto simpatiche che conducono il visitatore nel cuore del sistema abitativo dei sassi, il vicinato o U v’c’nonz, come direbbero i locali.  Quest’ultimo era il fulcro della vita collettiva materana, luogo di ritrovo e di condivisione, di solidarietà ma anche di invidie. Il “Vicinato” costituisce il c.d. Parco della Civiltà Contadina e ospita all’interno dei sassi i racconti di figure molto importanti della storia recente della città, da Adriano Olivetti a Lidia De Rita, da Friedmann a Carlo Levi. L’esperienza si conclude al buio, nell’ultimo sasso, dove si assapora la notte materana di un tempo

CRIPTA DEL PECCATO ORIGINALE

Il luogo è un po’ distante dal centro città ed è raggiungibile in macchina o con piccoli tour organizzati da guide locali. Una volta giunti sul posto però preparatevi a rimanere a bocca aperta. L’area intorno a Matera è cosparsa di chiese rupestri ma qui siamo di fronte alla Cappella Sistina di questo tipo di edifici di culto. Ricorda di prenotare la visita (è obbligatorio), il biglietto poi si ritira presso un’azienda agricola che costituisce punto di partenza della visita.  

PUNTI PANORAMICI IMPERDIBILI 

È difficile selezionare solo alcuni paesaggi di Matera ma provo ad indicarti quelli che più mi sono rimasti dentro. 

Belvedere dei “Tre Archi”. Proprio nel cuore della città, nei pressi di Piazza Vittorio Veneto. 

Piazza Duomo. Al tramonto cullati dalla musica degli artisti di strada 

Belvedere Murgia Timone. Al buio la città sembra una lama di luce 

Santa Maria di Idris. Da qui sembra possibile volare sui sassi 

Belvedere del vico Santa Cesarea con la prospettiva del campanile di San Nicola Caveoso  

CHIESA DEL PURGATORIO 

La chiesa si trova nella centralissima via Ridola e nelle vicinanze insistono la Chiesa di San Francesco, il Museo Archeologico e collezione d’arte di Palazzo Lanfranchi. La chiesa completata nel 1747 rappresenta un vero gioiellino Barocco, sembra evidente il voler strizzare l’occhio a modelli eccellenti del ‘600 e soprattutto alle onde sinuose del Borromini. Verificate l’apertura, il luogo ormai non è più un edificio di culto ma uno splendido spazio d’arte dove si organizzano mostre ed eventi. 

In conclusione non potevo tralasciare qualche chicca a tavola che non potete assolutamente perdere: 

Cialledda, Crapiata, Caciocavallo podolico, Peperoni cruschi, Calzoni con la ricotta (una pasta fantastica soprattutto se il ripeno è contrastato con un agrume). Il tutto va rigorosamente affronatto con una discreta quantità di Aglianico o Primitivo. 

Viaggio in Calabria

Ferruzzano sei come il primo amore, non ci si può scordare

Ferruzzano per me è sempre stato un paese particolare. Incrocio spesso sul mio percorso il suo nome ed i suoi abitanti. Imparai a conoscerlo ancora prima di visitarlo attraverso i racconti della nonna materna, ed imparai a conoscere quegli usi antichi come quello di realizzare dei casotti in spiaggia, I LOGGI, dove ci si traferiva per lunghi periodi in estate, di quella vita misera che diventava ricca di significato negli occhi di chi quel passato l’ha vissuto ed ha visto in qualche misura l’inizio di quello spopolamento verso la Marina. Al tempo prendere il treno per andare a Reggio sembrava quasi un viaggio lunghissimo, quei racconti che certe volte usano termini di un dialetto quasi incomprensibile.

E’ un’area questa carica di storia, basti pensare alla vicinanza con Capo Bruzzano, probabile approdo dei “coloni” greci che dopo andarono a fondare Locri, o come non ricordare i numerosi ritrovamenti preistorici che in quest’area spesso vengono segnalati.

L’origine della frazione interna di Ferruzzano non differisce nelle motivazioni da tutti gli altri centri limitrofi che ebbero la necessità di una maggiore difesa da quel mare che prima fu incredibile collegamento di civiltà.

Il borgo fu casale di Bruzzano, ed appartenne a numerose famiglie della nobiltà locale come ad esempio la famiglia Marullo della contea di Condojanni, ai Canotto fino al 1592. Passò poi agli Staiti fino al 1674 ed infine ai Carafa che lo tennero fino al 1806, data nella quale vi fu l’eversione della feudalità.

Con l’istituzione dei Comuni del 1811 Ferruzzano fu elevato a comune ed incluso nel Circondario di Staiti che in quel momento storico diviene il centro più importante dell’area.

Ferruzzano venne pesantemente danneggiato dai terremoti del 1783 e da quello del 1907. Una testimonianza diretta dell’attaccamento e della combattività dei sui abitanti ci viene riportato da Umberto Zanotti Bianco che nel suo racconto “Pazza per amore” contenuto nella raccolta “Tra la perduta gente” all’inizi degli anni ‘20 del ‘900 così racconta:

“Dopo il terremoto del 1907 una commissione geologica aveva dichiarato inabitabile Ferruzzano e il Genio Civile aveva costruito le nuove case baraccate nella frazione Saccuti. Ma più che la forza dell’abitudine, la maggior vicinanza ai pascoli del monte Trizzo, alle terre sul versante del La Verde, aveva indotto coloro che si erano salvati da quel disastro a sistemarsi tra le rovine, riattando alla meglio, con legname, i vani lesionati. Sicché quando decidemmo ad aprire una Casa dei bambini a Saccuti, quei di Ferruzzano accorsero impermaliti:- Siamo noi la maggioranza del Comune: se fate l’asilo alla frazione vi capiterà male.

E così aprimmo due asili…”

Oggi Ferruzzano si è definitivamente spostato nella frazione marina con uno sviluppo caotico a ridosso della statale 106 davanti ad un mare ricco di voci nuove ed antiche con una vocazione turistica balneare.

La vera sfida però, è riscoprire quel passato nell’entroterra che oggi è scarsamente abitato e conserva intatto nel silenzio di quelle viuzze strette, un passato contadino ed orgoglioso che deve essere raccontato per non andar perduto.

Sfida ancor più affasciante è rappresentata dal sito della grotta rupestre di Iuderìu o dal bosco di Rudina e dai suoi palmenti che ci raccontano della laboriosità e della ricchezza di quest’area.

I palmenti sono depositari dell’antico sapere della vinificazione. Servivano a trasformare l’uva in mosto e si costituiscono da due vasche tra loro collegate, la superiore prende il nome di buttiscu e quella inferiore di pinaci. Questi sistemi hanno avuto una continuità di utilizzo per secoli facendo le fortune di quest’area che ha esportato vino in ogni angolo del Mediterraneo.

Un passato suggestivo, una terra straordinaria carica di storia e panorami mozzafiato, che decisamente riescono ad affascinare i visitatori. Per averne un semplice esempio, basta affacciarsi dalla piazza principale, quella della chiesa di Ferruzzano Superiore. Da questo terrazzo a quasi 450 mt d’altezza, lasciando alle spalle la chiesa che nonna ricorda baraccata il giorno del matrimonio e che in facciata riporta la scritta:

“Ferruzzano sei come il primo amore, non ci si può scordare”.

Le mie interviste

La mia intervista ad Armando Donato

Ho deciso di presentarvi attraverso una breve intervista Armando Donato.

Armando oggi lavora oltre confine ma sicuramente avrebbe molto da dare alle nostre latitudini.

Io ho avuto la fortuna di conoscerlo grazie ad un altro grande professionista, Davide Rizzo, anche lui al momento volato via per motivi di lavoro ma con cuore e testa ben ancorati in riva allo Stretto.

Armando parlaci un po’ di te, i tuoi studi, la tua storia, i tuoi attuali impegni.

Sono nato a Messina. Dopo la maturità classica e il servizio di leva nell’Esercito, mi sono laureato in Economia del Turismo (indirizzo beni culturali, ambiente e trasporti), seguendo poi un corso a Firenze sul Management del turismo culturale.

Per quasi un decennio ho insegnato materie economico/giuridiche applicate al settore turistico culturale presso enti, scuole, accademie di formazione e per progetti di sviluppo turistico. Inoltre per motivi di ricerca ho vissuto a Roma, Venezia e Parigi trasferendomi poi definitivamente a Londra.

Qui lavoro nel settore turistico occupandomi di customer service e collaborando con realtà quali per esempio il National Geographic Channel (documentario Nazi Megastructures).

Nel contempo frequento un corso riguardante gli studi museali presso la Leicester University e da oltre un anno presto servizio come volontario nel Supporting Staff degli Imperial War Museums, London Branch.

La mia prima pubblicazione risale al 2005. Successivamente ho inziato a stringere rapporti di collaborazione per riviste specializzate italiane ed estere operanti nel settore della storia militare (fortificazioni, armi, uniformi ecc).

In particolare l’Accademia di San Marciano (Bollettino Armi Antiche) di Torino, la Società di Italiana di Storia MIlitare di Roma, gli Uffici Storici della Marina e dell’ Esercito, la British Archaeological Reports  di Oxford, il  magazine After The Battle nell’Essex, la  Osprey Publishing di Oxford.

Ci racconti da dove nasce la tua incredibile passione verso i forti dello Stretto e cosa rappresentano per te, sia dal punto di vista storico ma anche come possibile volano economico per l’intera area?

La mia passione per la storia militare è innata. Crescendo ho sviluppato tale passione indirizzandola nello studio e nella ricerca, aiutato anche dal fatto di aver abitato per molti decenni presso uno dei luoghi più fortificati della Sicilia, ancora oggi ricco di opere ascrivibili agli ultimi 200 anni. Vestigia  luoghi che ho avuto la fortuna di vivere sin dalla metà degli anni Ottanta.

Tra queste non vi sono soltanto tre delle vecchie batterie di fine Ottocento in cui sono cresciuto (Masotto, Serra la Croce e Crispi), ma anche opere più antiche (inizi Ottocento) e più giovani (1930-1943) che circa 20 anni fa ho provveduto a catalogare e documentare nel suo insieme pubblicandole nei miei scritti.

Cosa secondo te ha impedito il corretto utilizzo di questi beni?

I nostri beni storico militari rappresentano una fondamentale occasione e opportunità purtroppo mai sfruttata, a  fronte della grande quantità e dell’ottimo stato di conservazione.

Il mancato sfruttamento economico consapevole e sostenibile dei suddetti beni  ha origine da un problema a monte, da imputarsi in massima parte alla classe politica locale ovvero gli amministratori; assolutamente impreparati quando non indifferenti.

Non è infatti difficile rilevare che dalle nostre parti, il settore turistico culturale sia inteso quale mero passatempo o realtà secondaria alla portata di tutti, quando invece è un ambito importantissimo direi fondamentale in cui <devono > operare professionisti qualificati e capaci, così come avviene in tutti gli altri settori.

Tale tendenza è ben evidenziata dallo scarso interesse verso la cultura, che si appalesa  con nomine in assessorati o altri incarichi strategici di responsabilità a coloro che molto spesso non hanno titoli, competenze ed esperienze lavorative. Ciò non solo comporta uno scontato abbassamento della qualità dell’offerta culturale e turistica (ammettendo che esista), ma anche la scorretta sottrazione di spazi e opportunità a quelle figure competenti, formatesi proprio per lavorare in tali settori.

Qual è, dal tuo punto di vista, la corretta rotta da seguire per dare un futuro credibile a queste preziose testimonianze e alle comunità che gravitano intorno a esse?

Nel 2021 in un mondo globalizzato e caratterizzato da una fortissima concorrenza, come potrebbe ad esempio un assessore al turismo o alla cultura di un dato Comune della nostra area, non conoscere almeno l’inglese, non avere titoli e “skills” adeguati, non sapere cosa sia l’overbooking, il prodotto turistico o il valore d’uso di un bene culturale? Come potrebbe risolvere i problemi esistenti, promuovere magari all’estero il territorio e porre in essere le necessarie condizioni al fine di creare sviluppo, ricchezza e reddito nel medio lungo periodo? La risposta è semplice; in nessun modo, infatti i risultati sono tristemente evidenti in tal senso.

In conclusione, sorvolando sullo sperpero di  risorse  pubbliche che spesso contraddistinguono certe pseudo attività  e servizi culturali propinati alla comunità, in base alla mia esperienza ritengo che sia  inutile relazionarsi e interfacciarsi con realtà locali come quelle sopracitate, aventi obiettivi ben lontani da quelli miei o di chiunque altro operi in questo ambito in maniera seria, onesta e libera. 

Sicuramente la ricerca scientifica con relative attività svolte in autonomia (pubblicazioni, conferenze, progetti, documentari, attività di incoming), sono al momento l’unica risposta o alternativa all’attuale nulla che purtroppo contraddistingue il nostro territorio da questo punto di vista e non solo.

Viaggio in Calabria

Le meraviglie della Collina di Pentimele

Esiste un luogo a pochi passi dal centro storico della città di Reggio Calabria che forse più di ogni altro potrebbe diventare vetrina delle potenzialità ecoturistiche della nostra terra.
Mi riferisco a quel balcone naturale che risponde al nome di Collina di Pentimele.
Tralasciamo il naturale snodo viario che dalla zona “Serpentone” porta agilmente alla sommità di questa dolce altura. Decidiamo di affrontare il breve dislivello che dallo snodo della tangenziale Via Lia, permette con qualche minuto di fatica, di percorrere brevemente il Sentiero Italia e godere di uno dei paesaggi più incredibili sull’intera città.

La città vista da Pentimele


Già da solo, il Sentiero per eccellenza potrebbe bastare ad una oculata politica attenta ad un approccio dolce alle aree interne a focalizzare l’attenzione su questi luoghi, ma andiamo oltre.
Non percorriamo che qualche centinaio di metri di questo sentiero, pensato già negli anni 80 e poi realizzato un decennio dopo, con l’obiettivo di collegare l’intero territorio nazionale da nord a sud, isole comprese. Fermiamoci su queste alture.
Qui, il mito ci racconta dell’origine di questo nome particolare riallacciandosi alla storia di cinque splendide fanciulle. Le donne erano gemelle perfettamente identiche ed era possibile distinguerle solo attraverso il canto che pervadeva l’intero circondario e da qui la denominazione della collina dei cinque canti.
Dal mito alla storia poi il salto è brevissimo. Intatte su queste alture si conservano le ultime pagine delle fortificazioni dello Stretto. Silenti testimoni di uno dei momenti che riunificarono nuovamente la storia delle due sponde di questo incredibile braccio di mare, i forti ottocenteschi attendono l’occasione per esprimere a pieno le loro potenzialità.
Opere sulle quali negli anni si sono incrostati falsi miti come l’improprio nome “umbertini”, di fantasiosi collegamenti ecc…


Queste due incredibili opere facevano parte del complesso sistema voluto come ammodernamento della protezione della costa dal neonato Regno d’Italia negli anni 60 dell’800 per poi vedere l’avvio dei lavori di realizzazione negli anni 80 dello stesso secolo.
La sola sponda calabrese ospita ben otto fortezze di varia dimensione alle quali nel ‘900 ne venne aggiunta un’altra a Modena. Questa risponde a tecniche edilizie e ad esigenze belliche che in quei decenni si modificarono a ritmi vorticosi.
Oggi i due forti di Pentimele dopo un’opera di ristrutturazione conservativa aspettano una sorte definitiva che mi auguro possa essere proficua per il territorio. Immagino ad esempio un luogo nel quale si possa conservare, studiare e tramandare la memoria delle fasi ultime della nostra storia, dall’800 al ‘900.
Proprio Pentimele fu luogo testimone di quelle pagine.
Proprio la rada sottostante ospitò parte della spedizione che mosse alla volta della Sicilia quando i franco-napoletani, all’inizi dell’800, pianificarono l’occupazione della Sicilia per strapparla ai borbonici che protetti dai britannici ripararono sull’isola.
Dei forti ottocenteschi abbiamo già parlato, ma Pentimele anche nella fase successiva ospitò strutture difensive che rispondevano al mutato quadro di riferimento dell’“arte della guerra” e proprio in quel luogo incantato vennero edificate alcune postazioni per la difesa contraerea della città oltre a tutta una serie di strutture fondamentali allo sforzo bellico italiano.

Non dimentichiamo che nel 1943 il fronte della Seconda guerra mondiale passò proprio alle nostre latitudini.
Fa impressione vedere gli effetti dei bombardamenti, riecheggiano alcune sciocche considerazioni di chi la guerra non l’ha mai vissuta e banalmente la invoca.

Gli effetti di uno “spezzonamento”


Stona ancora di più sul far della sera quando da questo luogo quasi onirico si riesce ad apprezzare una visuale impareggiabile sulla Città.
Abbiamo bisogno di visione unitaria e di utilizzo economicamente orientato affinché tutta questa memoria possa diventare anche utile per il territorio che l’ha vissuta ed oggi quasi dimenticata.

Viaggio in Calabria

Un gioiello chiamato San Giorgio Morgeto

Esiste un luogo nella provincia di Reggio Calabria che non ti aspetti. Uno di quei luoghi che quando vai via senti ripetere dalla compagnia quella frase quasi offensiva; “non sembra manco di essere a Reggio”. Come se per condanna divina la bellezza non dovesse albergare in queste contrade che invece al netto di qualche decennio di inetta incapacità a riconoscerla ha sempre vissuto di una bellezza estrema, magari povera, ma pur sempre dignitosissima.
Il luogo di cui vi voglio parlare in questo appuntamento è San Giorgio Morgeto.
L’incanto inizia a colpire il viandante già nell’avvicinamento al borgo, con quelle case così tenacemente aggrappate a salitelle e vicoli che improvvisamente cedono il passo ai ruderi dei bastioni di quello che fu il Castello di San Giorgio.

Castello di San Giorgio Morgeto

L’origine del centro si perde come spesso accade alle nostre latitudini nella notte dei tempi, ma questo borgo ci da la possibilità di approfondire un periodo che spesso viene trascurato nei nostri racconti dei luoghi. Mi riferisco a quel lunghissimo lasso di tempo che precede l’arrivo nell’ VIII sec a.C. di gente proveniente dalla Grecia che diedero vita a quella che impropriamente spesso viene definita come colonizzazione ma che in realtà darà il via alla creazione di città nuove “staccate” dalla terra di origine.
Il nome stesso di questo centro ci da spazio per parlare di Morgete figlio del mitico Re Italo che furono “fondatori” di quei gruppi definiti Itali e Morgeti (che prima venivano appellati come Enotri).
Queste popolazioni “indigene” insieme ad altri gruppi come Siculi e Ausoni erano già qui prima dell’arrivo dei greci e convissero con loro per molti secoli.
E’ interessante vedere poi come molte fonti anche autorevolissime in qualche modo rileggano nella presenza degli Enotri in punta di Stivale una legittimazione del possesso di questa terra ricordando l’origine greca di quelle genti.
San Giorgio poi assunse il suo nome e buona parte della sua conformazione attuale nel corso del medioevo.


Pare proprio che il centro venne risparmiato dalle incursioni saracene per intercessione del Santo della Cappadocia ed i cittadini decisero di acquisire la nuova denominazione che prima invece ricordava il nome del re Morgete.
La denominazione attuale invece si acquisì dopo l’unità d’Italia con l’affiancamento alla denominazione di San Giorgio anche di Morgeto quasi a chiudere un cerchio plurimillenario.
Il borgo oggi vanta oltre ad un dedalo inestricabile di vicoli, tutta una serie di luoghi carichi di fascino.
Oltre al già citato castello e a quella che viene definita “Fontana Bellissima” con la sua storia quattrocentesca, sono decisamente i grandissimi palazzi gentilizi a colpire l’immaginario del visitatore.
Oggi resi ancor più affascinanti da un’aria quasi di aristocratico senso di decadenza, questi palazzi ci
parlano di un passato importante ancora oggi testimoniato da imponenti portali e gusto
ricercatissimo nelle rifiniture.


Ad essere sinceri però, e non per vicinanza al santo al quale è dedicato, è sicuramente il convento dei domenicani con la vicina chiesa dell’Annunziata ad incuriosirmi ed affascinarmi di più.
Divenuto ormai anche il cantiere monumento storico all’inconcludenza e all’insipienza dei “manovratori”, un tempo questo angolo di Calabria era uno dei centri culturali più importanti del circondario, dotato di una imponete biblioteca.
Qui si formò l’ultimo degli uomini rinascimentali, il filosofo della Città del sole, Giovanni Domenico Campanella ai più noto come Tommaso.
San Giorgio merita il tempo di una visita, merita l’attenzione del viandante, che oltre a lasciarsi rapire da una storia infinita e da paesaggi che al tramonto raggiungono la superbia, sa anche raccontare una storia viva di artigiani e di imprenditori che sanno innovare anche alle nostre latitudini.

Viaggio in Calabria

A Bagnara dove l’Aspromonte precipita nel Tirreno

Bagnara è un borgo normanno in terra greca, possiamo definirlo così questo splendido centro affacciato sul Mar Tirreno.

Nonostante si ipotizzino origini molto più remote le prime attestazioni storiche risalgono all’ XI secolo d.C. quando sotto i normanni l’area divenne prima prima uno snodo logistico e poi vide la fondazione, nel 1085 dell’abbazia di Santa Maria e dei XII apostoli nell’area della rupe “Martorano”.

Proprio in questo periodo il centro acquisisce importanza strategica per la sua collocazione geografica e per questo i normanni decisero di migliorarne le difese.

Nel secolo successivo Bagnara incrocia il suo destino con Riccardo d’Inghilterra che coinvolto nella III’ Crociata sbarcò in Sicilia per risolvere una disputa ereditaria nella quale era coinvolta la sorella Giovanna vedova di Guglielmo II.  Per far pressione e riottenere la dote della sorella da Tancredi, Riccardo, prese la città di Bagnara nell’ottobre del 1190. Alla fine Riccardo ottenne quanto richiedeva e potè ripartire per la Terra Santa.

Molto importanti per la storia del centro affacciato sulla Costa Viola furono anche le confraternite religiose. Ad esempio la seicentesca “Nobile Arciconfraternita di Maria SS. Del monte Carmelo” della quale oggi a Bagnara è visitabile un piccolo museo annesso allo splendido edificio di culto realizzato agli inizi dell’800, dopo che il precedente venne distrutto dal devastante terremoto del 1783.

Oggi il borgo ha tanto da offrire, qui è semplice mescolare le attrattive che singolarmente si possono trovare in moltissimi centri ma che qui trovano quasi una sintesi perfetta. Il mare certo presenta la vocazione fondamentale ma non bisogna trascurare l’incredibile ricchezza della parte interna, raggiungibile rapidamente e dalla quale si dipanano percorsi Trekking che tolgono il fiato.

Un borgo però che forse più di altri richiede la fruibilità dei suoi luoghi identitari. Con un semplice percorso a piedi sono facilmente raggiungibili tutte le attrattive di questo centro che digrada rapidamente verso il mare, ma spesso raggiunti questi luoghi ci si può solo fermare ad ammirare gli incredibili esterni come quelli di Villa de Leo o del vicino Castello Ruffo che offrono comunque uno spettacolo incantevole a picco sul mare ma che magari meriterebbero migliori fortune.

Fontana monumentale che ricorda l’arrivo di Garibaldi a Bagnara

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A “Brancaleone Vetus”

Le origini di Brancaleone si perdono nelle nebbie della storia, affondano le proprie radici in un passato antichissimo, fatto di monaci che dal VI al X d. C. hanno abitato questi luoghi isolati ed inaccessibili facendone luogo di meditazione e di crescita spirituale.

Brancaleone Vetus

Come dare torto a questi antichi monaci? Ancora oggi, su questa rupe a 300 metri sul livello del mare,  da Brancaleone “Vetus”, è possibile godere un panorama che ristora occhi e spirito.

Il primo nome di questo luogo pare derivare dagli alloggi molto spartani di questi monaci che abitavo alcune cavità rupestri nell’attuale sito di Brancaleone denominato appunto Sperlinga, dal greco Spèlugx, ovvero caverna.

Sono documentabili peraltro alcuni depositi alimentari, dei veri e propri silos ipogei necessari per la sopravvivenza dell’antico insediamento.

Nel XIV° sec. l’insediamento venne fortificato con la costruzione di un castello di proprietà dei Ruffo di Sinopoli che mantennero il possesso per circa quattro generazioni.

Sulle origini del nome attuale invece non vi è certezza ma tante suggestive ipotesi, una prima scuola di pensiero lo vorrebbe far discendere dall’antico nome Motta Leonis, secondo altri invece il nome attuale pare si riferisca al latino “branca” in riferimento alla forma di zampa di leone.

Un’altra teoria individuerebbe l’origine del nome come prestigioso riconoscimento di un miles in quanto le fonti accertano che abbia operato a queste latitudini un tal Andrea Brancaleone.

In ultimo, il nome potrebbe derivare dal nome dalla pianta “boccaleone”, visto che il borgo in alcuni autori viene denominato proprio Boccalionem.

Ruderi Brancaleone

Al di là delle tante suggestioni sul nome del borgo, furono molte, nei secoli le famiglie nobili che governarono questo territorio che sul finire del ‘400 gli aragonesi vollero ulteriormente fortificare.

Dopo i Ruffo, sotto i quali nell’ultimo periodo il territorio patì una forte crisi economica, il feudo passò agli Ayerbo d’Aragona e successivamente nella seconda metà del ‘500 agli Spatafora e successivamente ai Carafa fino al 1806, in un susseguirsi di vendite facilmente documentabili della quale risparmio i singoli interessantissimi passaggi dai quali ad esempio apprendiamo che qualche anno dopo il 1571 il conte Alfonso de Ayerbo, vende per 30.000 ducati il possedimento di Brancaleone alla nobile messinese Donna Eleonora Spadafora, consorte di  Federico Stayti, che a causa della morte del figlio Andrea, concede poi il possesso di quel territorio al nipote Federico.

Resti di affreschi Madonna del Riposo

Il terremoto del 1783 provoco’ gravi danni per piu’ di venticinquemila ducati, ma fortunatamente non si registrarono vittime

Nel 1799, Brancaleone, per disposizione del generale francese Chianpinnet, venne incluso nel cantone di Bova e nel1806, un provvedimento normativo francese, lo dichiarava Universita’ nel cosiddetto governo di Bianco e distretto di Gerace. Fu infine riconosciuto comune nel 1811.

Il borgo poi venne ulteriormente danneggiato dai terremoti del 1905 e 1908.

Durante il ventennio fascista poi fu la destinazione del confino disposto dal governo fascista nei riguardi del poeta Cesare Pavese.

E’ difficile riassumere in poche righe le tante pagine di storia di questo antico e nobilissimo abitato, che oggi aspira con l’intervento meritorio di tantissimi volenterosi, di raccontarsi e di raccontare la propria storia unica ed allo stesso tempo comune di quell’angolo di Calabria sospeso tra mare e cielo

Grotta Albero della vita

Viaggio in Calabria

Tresoldi a Reggio Calabria

E’ stata inaugurata nel weekend tra il 12 ed il 13 settembre presso il lungomare di Reggio di Calabria l’installazione permanete denominata “Opera” frutto della creatività artistica di Edoardo Tresoldi.
Sono stati peraltro due giorni ricchissimi di eventi culturali di spessore che hanno contribuito ad accendere i riflettori in quel pezzo di Lungomare reggino
L’operazione per la realizzazione di Opera è costata complessivamente alla Città Metropolitana di Reggio Calabria 939.400,00 € ed è stata finanziata attraverso i fondi dei “Patti per il sud”.


Nel clima rovente della fase preelettorale si sono registrate feroci polemiche, spesso da derubricare alla voce chiacchiericcio di sottofondo sulla bontà dell’intera operazione.
Ovviamente l’inaugurazione ad opera dell’Amministrazione comunale ad una settimana dalle votazioni non ha contribuito a svelenare il clima.
Ma ovviamente non sono le polemiche strumentali ad interessare questa rubrica.
La realizzazione di questa suggestiva installazione ha permesso alla “Via marina” reggina di
consolidare quel suo ruolo di vero e proprio museo a cielo aperto. Uno spazio inclusivo che permette attimi di puro godimento sensoriale non solo per la straordinaria bellezza paesaggistica.
Negli anni questa parte del “salotto buono” della città si è arricchito con opere d’arte
contemporanea, pensiamo alle tanto criticate statue di Rabarama diventate poi nel tempo uno dei simboli della città almeno a giudicare dalla mole di foto che circolano sui social.
Ovviamente non possiamo dimenticare i resti della città antica che fanno bella mostra di se sempre nel cosiddetto “chilometro più bello d’Italia”, dalle Mura greche alle Terme romane fino alla tomba ellenistica.


Chiaro che anche in questo angolo di città le criticità non mancano, basti pensare all’aria del
tempietto, la più sacra per la storia cittadina oggi relegata a mera appendice del Lungomare.
Ma se è ovvio che le criticità non manchino mi chiedo cosa spinge la comunità reggina a non gioire se per un attimo la città assurge alle cronache nazionali e non solo per un fatto di grandissimo spessore culturale.
Ancora una volta lascio la polemica ai professionisti.
Di fatto Opera va a creare in angolo di Reggio una sorta di rievocazione di un peristilio di ordine ionico con 46 colonne di otto metri ciascuna su una superfice di 2500 metri quadrati.
La trasparenza di queste strutture permette una lettura unitaria con il paesaggio sublime dello Stretto. Opera permette al fruitore di evocare dentro di se i sentimenti che legano l’individuo ad un passato comune, questo è il luogo dove quello che non c’è più viene richiamato per diventare qualcosa che ci deve proiettare verso il futuro.


Se si ha poi la pazienza di attendere l’ora del tramonto quando i reticoli delle colonne incrociano la luce ambrata del sole che muore è proprio lì che inizia la magia. Le luci, la sera, rendono l’installazione ancora più emozionante facendola svettare nel cielo e captando emozioni che magari si esprimono anche in una semplice foto da parte di chi fino a qualche ora prima esprimeva giudizi al vetriolo.
E’ chiaro che un’opera artistica può incontrare il favore o l’opposizione della critica ed il confronto schietto e sincero è un portato fondamentale dell’arte. Rimane tuttavia inutile la critica sterile e pretestuosa, peggio se cela malamente interessi politici, questa tende a distruggere qualsiasi cosa di buono per biechi interessi di clan.

Alla fine i sindaci passano, le chiacchiere pure ma la città no.